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Crac Popolare di Vicenza, accolta class action: ai risparmiatori 400 mila euro

Quattro sentenze, una ventina di risparmiatori coinvolti e una stangata da 400 mila euro per Intesa SanPaolo: dopo anni di battaglie e tentativi (spesso vani) di ottenere un risarcimento, arriva una svolta storica per i consumatori incappati nelle azioni Banca Polare di Vicenza, vendute da Banca Nuova. La Quinta Sezione del Tribunale di Palermo, con i giudici Rachele Monfredi ed Emanuela Rosaria Piazza, ha accolto infatti i ricorsi presentati dallo studio legale Palmigiano – che ha raggruppato le cause in una sorta di class action proprio per scongiurare rinunce e assistere anche chi rischiava di affrontare spese eccessive rispetto all’investimento andato in fumo – riconoscendo la responsabilità dell’istituto di credito che ha acquisito Banca Nuova. 

Popolare di Vicenza

La vicenda, come è noto, negli anni a cavallo tra il 2013 e il 2015 ha coinvolto migliaia di risparmiatori siciliani, indotti dagli allora funzionari di Banca Nuova ad acquistare azioni della Popolare di Vicenza. Poco dopo, però, la Capofila del Gruppo Zonin fu messa in liquidazione, con strascichi giudiziari anche per i vertici della banca e con danni enormi per i clienti che avevano acquistato i prodotti dell’istituto di credito, che persero tutti gli investimenti.

Adesso, con quattro sentenze appena pubblicate (2406/2021; 2412/2021; 2413/2021; 2414/2021) la Quinta Sezione del Tribunale di Palermo ha condannato Intesa SanPaolo a risarcire venti risparmiatori siciliani un importo di oltre 270.000 euro e a pagare spese legali per circa 130.000 euro. “Queste sentenze – commentano gli avvocati Alessandro Palmigiano ed Elisabetta Violante – rendono giustizia ai clienti coinvolti, spianando la strada anche ad altri risparmiatori, e condannano una serie di pratiche illecite purtroppo spesso comuni nel mondo finanziario. Può sembrare scontato, ma non è sempre facile riuscire a ottenere giustizia per condotte che sovente trovano conforto in clausole e avvertenze nascoste tra i tanti documenti che si firmano e che diventano “trappole”, difficili da individuare, per chi non ha gli strumenti adeguati per decifrare le operazioni che sta eseguendo. A maggior ragione se, come in questo caso, i clienti venivano spesso indotti all’acquisto di prodotti rischiosi. Non è accettabile che i risparmi di tante persone, messi da parte con grandi sacrifici, siano stati utilizzati per portare nuovi capitali ad una banca in difficoltà”.

Un risultato importante, frutto però di un percorso tutt’altro che in discesa. Le cause sono state infatti molto complesse, sia per le difficili questioni giuridiche (Intesa sostiene di non essere tenuta a pagare i debiti della acquisita Banca Nuova), sia perché i giudici hanno disposto numerose prove per capire cosa fosse accaduto quando i risparmiatori hanno acquistato le azioni e hanno chiesto anche informazioni alla liquidazione della Banca Popolare di Vicenza – che aveva redatto un audit interno – ma anche alla Consob e all’Autorità garante, che hanno fatto pervenire dei documenti in parte secretati. Sono stati poi sentiti decine di testimoni, tra cui i commissari liquidatori della Banca Popolare di Vicenza. 


 Alla fine il Tribunale ha accertato come all’epoca vi fosse una precisa direttiva della Capo Gruppo Popolare di Vicenza di vendere i titoli con pressioni fortissime – perfino minacciando o lasciando presagire l’azzeramento dei vertici – per spingere le singole filiali a proporre questi prodotti altamente rischiosi. È emerso inoltre che, o per scarsa conoscenza o per intenzionalità, i funzionari di Banca Nuova proponevano ai risparmiatori (in alcuni casi quasi le imponevano a coloro che volevano ottenere dei mutui) l’acquisto di questi prodotti senza chiarire la rischiosità e il possibile fallimento della Capo Gruppo, come poi accaduto. Anzi, come è emerso, spesso mostravano dei grafici del valore del titolo evidenziando l’assoluta solidità della Banca Popolare di Vicenza e le prospettive di crescita. 
 In un primo tempo numerosi clienti, considerato l’esiguo valore dell’investimento – molti infatti avevano aderito alla quota minima di 6.000 euro – avevano pensato di rinunciare, ma gli avvocati Palmigiano e Violante hanno proposto loro di impostare le azioni legali come una sorta di class action, raggruppando più risparmiatori in un’unica causa e abbattendo così i costi. Del resto, le questioni giuridiche erano per tutti sostanzialmente simili e alla fine grazie a questo strumento si è rivelato molto utile. Al punto che adesso potrebbe aprire le porte a nuove cause e ulteriori class action.

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