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Il censimento delle infrastrutture a rischio? E’ un flop

Un caos di dati, raccolti frettolosamente senza criteri omogenei: è il primo risultato del censimento delle infrastrutture a rischio, avviato dal Governo il 17 agosto, a poche ore di distanza dal crollo del Ponte Morandi di Genova. Un censimento che – di fatto – è finora da considerarsi un flop, come spiega Quattroruote nel nuovo numero in edicola da domani.

Le spiegazioni di questo esito vanno cercate nell’esiguità del tempo lasciato alle società autostradali, all’Anas e agli enti territoriali (Regioni, Province e Comuni) per l’invio dei dati (solo quindici giorni) e nella mancanza di linee guida per la compilazione degli elenchi. A fronte di una richiesta generica, le risposte pervenute sono state le più disparate: c’è chi ha elencato praticamente tutte le infrastrutture di propria competenza, chi si è limitato a quelle realmente bisognose d’interventi di manutenzione straordinaria e chi ha ignorato del tutto la richiesta, pervenuta in un momento in cui gli uffici erano in gran parte sguarniti per le ferie estive. 

In ogni caso, la mole d’informazioni giunte al ministero – nell’ordine delle centinaia di migliaia di manufatti (ponti, viadotti, ma anche tratti di strade provinciali da mettere in sicurezza) – e la loro disomogeneità renderà necessario, secondo le informazioni raccolte da Quattroruote, un nuovo e meglio organizzato censimento, destinato ad alimentare la futura banca dati delle infrastrutture. 

A questo si aggiungono i problemi derivanti dal fabbisogno di risorse per gli interventi di manutenzione, che già dai primi e parziali dati risulterebbe ingente: tra gli enti che hanno fornito al dicastero una stima dei costi necessari, la Lombardia ha valutato il budget indispensabile in oltre 100 milioni di euro, il Piemonte in 310 (dei quali 70 da destinare alla sola Torino), il Veneto in 200 milioni (64 dei quali da destinare a interventi urgenti), solo per citare alcuni esempi. 

Le previsioni dell’Ance (l’associazione dei costruttori edili) arrivano a un fabbisogno complessivo di 27 miliardi di euro

Ma come reperire tutto questo denaro? Se le società autostradali possono contare sui margini garantiti loro dalla concessioni, gli enti locali, colpiti da ripetuti tagli di risorse da parte dello Stato, non sono in grado di far fronte al fabbisogno di spesa: è vero che, come rivela sempre Quattroruote di ottobre, nel 2017 hanno incassato quasi 12 miliardi di euro dagli automobilisti (6,3 le Regioni per la tassa automobilistica, 3,4 le Province per Ipt e imposta sulla Rc e 1,9 dai Comuni  grazie a multe e parcheggi), ma è anche vero che, con questi introiti, devono far fronte ad altri, essenziali, capitoli di spesa, come la sanità, l’edilizia scolastica, il trasporto pubblico, la protezione civile e la tutela delle risorse naturali.

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Giovanni Megna