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Lo chef Saverio Piazza: “In cucina vince la tradizione e la genuinità”

“È stato spontaneo per me mettermi ai fornelli sin da piccolo – racconta Saverio Piazza-  perché sia mio padre che mio nonno erano cuochi e il mio trisavolo prima di loro faceva il “maestro di casa” presso le antiche famiglie nobiliari palermitane. Anche da parte materna eredito questa passione, infatti il padre di mia madre era un bravissimo cuoco e suo fratello è stato il primo chef della catena Jolly hotel d’Italia. Ma non dimenticherò mai la grande fortuna che ho avuto di lavorare e imparare il mestiere dal grande chef Aurelio Bucini, che mi ha fatto amare questo lavoro”. A raccontare la sua storia è Saverio Piazza, l’executive chef del ristorante “Il Timo Gourmet” dell’Hotel Four Points by Sheraton di Aci Castello, sarà ospite speciale a Galati Mamertino giovedì 14 dicembre, in occasione del Festival del Giornalismo Enogastronomico, presso il ristorante “La Falda” di Salvatore Parafioriti.

Come è lavorare ed essere l’executive chef per una struttura di grandi dimensioni come il Timo Gourmet?

“Ho la fortuna di lavorare in posto straordinario, che ha un potenziale fantastico e un’organizzazione impeccabile, che ci permette di soddisfare le esigenze e i gusti più disparati. Alle volte prepariamo per dieci persone, altre riusciamo a coprire fino a mille coperti tra ristorante, sale meeting e sale ricevimento. Purtroppo in una grande struttura bisogna avere una grande attenzione nella cura del cibo, perché altrimenti la quantità rischia di compromettere la qualità. Dobbiamo avere rispetto per ogni singolo alimento, stare attenti a come viene coltivato (o allevato se si tratta di carni) e prestare la massima attenzione al modo in cui viene cucinato, possibilmente con semplicità e senza artifici.”

Che tipo di chef è Lei?

“Io sono un cuoco antico. La buona cucina secondo me è la cucina tradizionale. Nei miei piatti voglio mantenere la genuinità dei prodotti. Per questo ho realizzato un orto proprio accanto l’hotel che coltivo in modo biologico e che arricchisce di sapori la mia cucina. Vedere gente che da ogni parte della Sicilia viene appositamente qui per mangiare le verdure o una semplice pasta con la lattuga, per me è una conquista. Dai miei collaboratori pretendo il massimo e a volte mi prendono per matto perché faccio richieste per loro assurde, ma secondo me essenziali per la riuscita di un buon piatto. Ad esempio l’altro giorno ho chiesto al mio secondo chef Salvo Scalia, che è la mia “spalla destra”, di togliere la pellicina alle noci, poiché contiene troppi tannini che rischiano di disfare il riso e compromettono la buona riuscita del piatto. Mi ha osservato un po’ stupito, ma si è reso subito conto dell’importanza di tenere conto anche dei minimi particolari.”

Che tipo di cucina è quella che prepara ai suoi ospiti?

“Qui nel mio ristorante faccio “cotto e mangiato”. Io ho vissuto la metamorfosi che è avvenuta all’interno delle cucine con l’avvento della globalizzazione e l’arrivo di attrezzature sempre più sofisticate e performanti. Con la nascita dei sistemi di conservazione come il sottovuoto, con l’invenzione dell’abbattitore e del Roner (strumento che serve per la rigenerazione termica di alimenti) il concetto del cotto e mangiato si è perso. Spesso nei grandi ristoranti, ma anche nei servizi di banchettistica, il cibo viene cotto e conservato, rigenerato e servito. Prima l’arrosto era tolto dal forno e portato in tavola, oggi l’arrosto è tolto dal forno, messo nell’abbattitore, poi nel frigo o nel freezer, e poi quando è il momento scongelato e rigenerato.”

Cosa pensa della cucina moderna?

Oggi la cucina non ha più un’identità. Un tempo le ricette avevano una storia, la cucina aveva un’identità ben precisa: il filetto alla Wellington di Gordon Ramsay o la tagliata di manzo alla Robespierre. Quello che una volta faceva parte dell’alimentazione oggi è sparito. Cuocere a bassa temperatura per ore e ore come facevano le nostre nonne, non si fa più. Adesso è di moda aprire il frigo e cucinare con quello che c’è, con il rischio di fare un pasticcio.

Anticamente anche la legna da mettere al forno per cucinare era scelta con cura, perché l’essenza del legno d’ulivo o d’agrumi contribuiva ad insaporire il tutto.”

Secondo Lei cosa significa Buona Cucina?

“Non significa mangiare il filetto Angus che viene direttamente dall’Irlanda o un taglio di carne pregiata che costa un occhio della testa! Non siamo più abituati a mangiare una “buona cucina”. L’Angus secondo me bisogna mangiarlo in Irlanda, perché questa carne per arrivare fin da noi in Italia per viaggiare, viene inevitabilmente un po’ refrigerata e macellata anche un mese prima e tutti questi passaggi finiscono per intaccare la bontà del prodotto. Buona cucina significa per me scegliere il cibo buono, cucinarlo nel modo giusto per mantenerne le proprietà.”

Che piatti proporrebbe a chi per la prima volta viene a trovarla nel Suo ristorante? come conquista la clientela?

Conquisto probabilmente con la semplicità e la qualità delle materie prime che uso nei miei piatti e cerco di mantenere il sapore autentico di ogni alimento di far perdere l’identità al prodotto. Non mi piacciono le cose artefatte. Anche una pasta col pomodoro può lasciare senza parole, ma deve essere servita ad agosto, quando il pomodorino è nel suo massimo splendore e la sua buccia sottile. Non ha senso una pasta col pomodoro in inverno! Perché quello che troviamo in questo periodo è un prodotto in scatola o comunque sottoposto ad un processo di conservazione. Le cose più semplici sono le più difficili. Anche uno spaghetto lesso, se condito con un olio buono fa la sua figura.”

 

Un piatto antico e particolare che tutt’ora Lei propone?

“Sicuramente “la pasta dù màlu tempu”, che era la pasta con i broccoli preparata anticamente dalle mogli dei pescatori. Chi la assaggia rimane incantato. È una normale pasta coi broccoli, ma fatta in modo tradizionale e casalingo che quasi quasi se chiudi gli occhi e mangi ti sembra di essere a casa. Il segreto è mettere le cime del fiore a macerare dalla mattina alla sera con un po’ di sale e un po’ di olio. Poi soffriggo uno spicchio d’aglio e acciughe, aggiungo il broccolo e la pasta cotta con le foglie del broccolo ed ha un sapore straordinario. A me piacciono i vecchi sapori cibi che ormai è difficile trovare. Mi piace anche “la cipollina” che era un pezzo di tavola calda che si faceva a Catania, un quadrato di pasta sfoglia (composta da impasto lievitato e poco grasso) farcito con prosciutto formaggio una salsa di pomodoro e la cipollina maturata appena.”

 

Un cibo che Le piace preparare?

“Ho una passione per la pasticceria, alcuni dicono che sono nato pasticcere, ma in questo caso preferisco più preparare i dolci che mangiarli.”

 

La sera di giovedì 14 dicembre che menù avete in programma di preparare al ristorante la falda in occasione del Festival del Giornalismo Enogastronomico?

Prepareremo due antipasti, uno sarà un fondo di carciofo ripieno con prezzemolo, menta e “tuma persa”, un formaggio siciliano piccante. Poi una zuppa di “provola a sfoglia” dei Nebrodi con funghi porcini. A seguire avremo due primi piatti: busiati con “caliceddi” (verdura tipica sicula), condite con un olio di olive nere e del pangrattato tostato. Per poi passare al tortello di ricotta condito con il sugo di riduzione del capocollo glassato che sarà servito come secondo. I contorni saranno due: una “patata scafazzata” al finocchetto e una “verdura maritata saltata” ovvero due o più verdure diverse saltate in padella insieme. Concluderemo, con un dolce che forse susciterà stupore a qualcuno per gli ingredienti con cui è composto: un soffice di lenticchie lavorato con la ricotta lavorata con lo zucchero.”

 

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