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Politica: con Calenda la sinistra scopre il diritto alla paura

di Andrea Fontana
Dopo poco più di un mese dall’insediamento del nuovo governo, la sinistra, e in particolare il Partito Democratico, riscopre il diritto alla paura. Si possono fare molti commenti, politici, economici, sociali, al Manifesto presentato da Carlo Calenda usandolo come sintomo esemplare della necessità di ricorrere alle emozioni nell’arena politica, ma la questione è complessa e davvero nuova. Quello, infatti, che mi è parso il passaggio più rivelante della sua riflessione è il punto in cui l’ex ministro dello Sviluppo Economico, ammette il diritto alla paura.

Nello specifico dove dichiara: “l’idealizzazione del futuro come luogo in cui grazie alla meccanica del mercato e dell’innovazione il mondo risolverà ogni contraddizione, ha ridotto la narrazione progressista a pura politica motivazionale. Il risultato è stato l’esclusione del diritto alla paura dei cittadini e l’abbandono di ogni rappresentanza di chi quella paura la prova”. Perché Calenda recupera e motiva in modo così forte la possibilità di provare angoscia in politica? Credo che i motivi siano due:

1. Ormai è palese a tutti che sono le emozioni a governare la vita e le scelte delle persone e non i ragionamenti razionali, basati sul compromesso, tipici della politica del Novecento. Siamo tutti chiamati a fare i conti con cambiamenti epocali: dalle modifiche delle frontiere geografiche, alle variazioni di identità culturali, dai temi del lavoro e della creazione del valore alla possibilità di vivere in sicurezza nelle nostre comunità. Calenda sa che è giunto il momento per la Sinistra italiana di comprendere più in profondità l’impatto che sentimenti come la paura, la frustrazione, il disagio hanno sui conflitti politici, sociali e culturali che condizionano il mondo. Questi sentimenti non sono solo delle momentanee emozioni “percepite” in modo soggettivo dagli elettorati, come spesso ha sostenuto il pensiero progressista, ma delle condizioni d’esistenza di cui la Sinistra deve rendersi conto, come ha fatto anche notare Dominique Moïsi, editorialista del «Financial Times» nel suo testo: Geopolitica delle emozioni (Garzanti).

2. Ogni azione politica ha bisogno di una narrativa che la sostenga. Un insieme di valori, argomentazioni, immaginari e linguaggi che possano spiegare il mondo presente e motivare il futuro, giustificando scelte e decisioni. La destra italiana ha trovato la sua narrativa forte e identitaria, basata sul recupero delle sovranità come risposta alle paure della povertà, della sicurezza, del futuro. Calenda sta provando, da sinistra, a trovare lo sbocco per la creazione di un nuova narrativa politica. E ogni narrativa, come ho cercato di indicare in Storie che incantano (Roi edizioni), è la risposta a un disagio profondo di un individuo o di un gruppo e quindi l’ex ministro legittimando la paura, legittima se stesso e il suo mandato.

Il tentativo di rinnovamento è encomiabile ma Calenda non deve commettere l’errore di seguire la destra sul terreno delle stesse emozioni che Lega e 5Stelle stanno cavalcando. Sicuramente è vero che l’elettorato ha paura, ma non è l’unico sentimento vissuto in Italia. Ce ne sono due ancora più potenti della paura che l’ex ministro non deve dimenticarsi. E in senso lato non devono dimenticarsi i progressisti. E cioè: la vergogna e l’umiliazione.
La vergogna di non sentirsi più a proprio agio con se stessi e con gli atri – sentimento diffusissimo sui social media e l’umiliazione di sentirsi inferiori rispetto a un tempo (passato, presente, futuro) che ci richiede di essere alla sua altezza: morale, economica, politica.

Alla paura di solito si risponde con i racconti di potere; in cui qualcuno – che ha il potere – risolve i problemi. Per la vergona e l’umiliazione occorrono invece racconti di redenzione. In cui qualcuno – anche senza potere – alza la testa e si riscatta.

Sociologo della comunicazione, Premio Curcio alla cultura 2015 e TEDx Speaker. Imprenditore, docente universitario e storytelling activist.
Ha introdotto in Italia il dibattito teorico e operativo sulla “narrazione d’impresa”. Amministratore delegato Storyfactory e Docente di “Corporate Storytelling” all’Università di Pavia dove è anche Direttore didattico del primo Master universitario italiano in scienze della narrazione: MUST.
Come sociologo della comunicazione adora mettersi la “tuta blu” e sporcarsi le mani nella pratica quotidiana ma ogni tanto ama anche mettersi il “camice bianco” dello “studioso” che cerca di capire i fenomeni sociali contemporanei.

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