Sicilia, così il vino spinge la crescita dei territori

L’ultimo grande nome, in ordine di tempo, ad avere investito in Sicilia è Oskar Farinetti, il patron di Eataly. Sull’Etna ovviamente,  nel luogo che Stevie Kim, brand manager di Vinitaly International, fondatrice della Vinitaly Accademy, definisce semplicemente «sexy» almeno per quanto riguarda la qualità dei suoi vini.  E certo non è un caso che  oltre a Farinetti (in società con l’imprenditore catanese Francesco Tornatore) negli ultimi anni abbiano  deciso di investire da queste parti big del settore come Angelo Gaja che ha comprato 21 ettari in società con il vignaiolo catanese Alberto Graci e prima ancora lo aveva fatto il  toscano Andrea Franchetti, proprietario della Tenuta Trinoro.

Fabrizio Carrera, direttore di Cronache di Gusto

«Ma sappiamo – dice Fabrizio Carrera, direttore del magazine “Cronache di gusto” e attento osservatore del settore – che hanno investito da queste parti  anche altri, anche  stranieri». È la forza dell’Etna, patrimonio Unesco, “a muntagna” «sexy» e magnetica nello stesso tempo  che ha sedotto negli ultimi anni  gli imprenditori storici del settore.  Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: il valore dei terreni, per esempio,   è passato dai 15mila euro per ettaro di 15 anni fa a 150mila euro per ettaro di oggi. Ma cionostante non diminuisce l’appeal dell’area attorno al vulcano. «Straordinaria la crescita in numero delle aziende nella provincia di Catania, che, grazie al fenomeno Etna, registra oltre 200 realtà imprenditoriali» spiega Sebastiano Torcivia, ordinario di Economia aziendale dell’Università degli Studi di Palermo e curatore dell’Osservatorio delle Aziende Vitivinicole Siciliane i cui dati saranno diffusi nelle prossime settimane .  Va di pari passo la crescita  della Doc Etna (del cui Consorzio presieduto da Antonio Benanti fanno parte 118 soci): l’incremento  è  del 5,4 % con 3,6 milioni di bottiglie nel 2018 contro i 3,4   milioni di bottiglie dell’anno precedente.

L’Etna è ormai l’esempio da seguire

Ormai l’Etna è un esempio da seguire. Il binomio è assoluto: la forza e la bellezza del territorio e l’alta qualità delle produzioni. «Un fenomeno – spiega ancora Carrera – di cui hanno beneficiato anche terreni e vini che non si trovano all’interno dell’area Doc ma che sono comunque alle falde dell’Etna».  Un fenomeno che ha spinto altri, magari più piccoli, a organizzarsi, a fare sistema. È avvenuto in provincia di Messina, nella piana che va da Patti a Milazzo in un’area che comprende 34 comuni: qui i produttori di mamertino, una delle più antiche Doc siciliane, hanno costituito un’associazione con l’obiettivo di entrare all’interno della grande famiglia della Doc Sicilia.

La novità: i produttori di Mamertino fanno squadra

Hanno debuttato al Vinitaly portando l’esperienza di un territorio  che ha una grande tradizione vitivinicola e che negli anni è stato un po’ dimenticato e un po’ sottovalutato. Oggi il tessuto produttivo del Mamertino è prevalentemente rappresentato da piccole aziende di famiglia, con una media di 3 o 4 ettari per azienda. I vigneti coprono un’estensione poco inferiore ai 100 ettari complessivi per poco meno di 100 mila bottiglie e il prodotto è decisamente in crescita: secondo i dati raccolti dall’Irvo (l’Istituto regionale vini o oli) si è passati da 348,06 ettolitri del 2012 (con 11 aziende certificate)  a 714,40 ettolitri del 2017 scorso (con 19 aziende certificate); per quanto riguarda l’imbottigliato si è passati dai 293,46 ettolitri del 2012 a 697,70 ettolitri.

Sono 13, intanto, le aziende che hanno scelto di aderire all’associazione: «Il Mamertino – spiega Flora Mondello produttrice e presidente dell’associazione – è un piccolo gioiello della nostra storia vitivinicola che, pur venendo da un glorioso e remotissimo passato, può interpretare una modernità enologica davvero interessante e competitiva. Le nostre sono piccole produzioni che devono essere spinte».

Sui Nebrodi avviata la sperimentazione per il vino di qualità

 

Antonio Campisi

C’è la consapevolezza, tra gli imprenditori, che su una produzione che possiamo definire in questa fase di nicchia si possa lavorare sul valore: del prodotto e del territorio con quei vigneti che guardano alle Isole Eolie. Mentre più in là sempre in provincia di Messina, sui Nebrodi si torna a discutere di produzione vitivinicola sulla base di una tradizione antica, a volte fatta di terrazzamenti costruiti con fatica dai contadini. C’è chi ha avviato la sperimentazione per produrre vini nel cuore della montagna, a Galati Mamertino: lo ha fatto Antonio Campisi,un giovane enologo del luogo tornato in Sicilia dopo una parentesi al Nord e oggi impiegato dalle Cantine Valenti (30 ettari, 150 mila bottiglie l’anno a Passopisciaro, zona Etna): «Sto facendo degli esperimenti sui Nebrodi per un vigneto – racconta -. Abbiamo tutto come l’Etna: l’acqua, l’altezza. E troveremo il modo di recuperare la mineralità».

I dati UniCredit: il settore vale oggi 550 milioni

È il territorio che vuole dare più forza al vino ma c’è anche il vino che riesce a beneficiare delle ricchezze del territorio grazie al matrimonio con la natura e i beni culturali. Sembra essere questo il messaggio che arriva da questa edizione (la sedicesima) di Sicilia En Primeur che quest’anno si terrà a Siracusa dal 6 al 10 maggio: negli stessi giorni sono stati organizzati 8 tour in otto siti Unesco che coincidono con altrettante aree di produzione vitivinicola di qualità. Sicilia En Primeur sarà l’occasione per fare il punto sull’ultima vendemmia e in generale sul settore che vale, secondo i dati diffusi da Unicredit, 550 milioni. In crescita, decisamente, i vini a marchio Doc Sicilia: «Quest’anno pensiamo di superare le 100 milioni di bottiglie – dice Antonio Rallo, presidente del Consorzio -. Il trend del valore delle vendite del vino nel 2018 è molto positivo, raggiungendo il +6%. In questo contesto Doc Sicilia ha incrementato le proprie vendite del 15,5%. Dall’analisi condivisa è emerso per i vini del Consorzio Doc Sicilia un elevato potenziale di crescita, obiettivo raggiungibile sfruttando gli spazi distributivi ancora disponibili».

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Giovanni Megna