Agricoltura

Vittoria: storia di Maurizio Ciaculli, l’imprenditore che ha portato Lidl alla sbarra

La decisione ha fatto arrabbiare molto l’avvocato Antonio Ingroia. Al processo alla Lidl e al Gruppo Napoleon che si è aperto nei giorni scorsi a Ragusa il giudice Vincenzo sito ha respinto tutte le richieste di costituzione di parte civile.

Una decisione fortemente criticata ma che non sposta di nulla il valore di questo processo sia perché sono alla sbarra dirigenti di gruppi importanti della Grande distribuzione organizzata (Bartolomeo Fiorilla e Michele Leonardi, il rappresentante del gruppo Napoleon Piergiorgio Samburgaro e quello di Lidl Massimo Casilini) sia per gli intrecci con la criminalità organizzata che potrebbe portare alla luce. Perché risulta veramente inquietante il racconto fatto da Maurizio Ciaculli, l’imprenditore agricolo vittoriese che ha fatto scoppiare il caso portando la Lidl in Tribunale. Ci si aspetta molto, per capire la situazione in provincia di Ragusa e comprendere i rapporti tra mafia e Gdo, da un altro processo parallelo che comincerà il 17 febbraio. Procedimento scaturito dalle minacce fatte a a Ciaculli. «Alla sbarra – racconta l’avvocato di Ciaculli Giuseppe Nicosia – andrà Giacomo Iannello, esponente della criminalità locale, accusato di minacce, fatte anche per conto di clan della criminalità catanese, per indurre Ciaculli a ritirare le denunce così da non andare a processo». Iannello, oggi in carcere per l’omicidio Nicosia, è stato denunciato dall’imprenditore nel 2014, che aveva consegnato alle forze dell’ordine delle registrazioni vocali.
La storia di Ciaculli comincia nel 2012 ed è stato lui a raccontarla, oltre che ai magistrati anche ai giornali. «Avevo un’azienda di confezionamento di prodotti ortofrutticoli, dove lavoravano circa cento padri di famiglia – dice al quotidiano online Meridionews -. Nel 2012 sono entrato nel supermercato Lidl di Vittoria e, per puro caso, nei banchi ho trovato delle melanzane, secondo me spagnole, avvolte in un imballaggio di cartone non conforme alla normativa e spacciate per prodotto italiano. Mi sono incuriosito, ho sollevato l’imballaggio e ho trovato un grande bollino dove si dichiarava che la melanzana era prodotta dalla mia azienda, col mio numero di global cup, lavorata e commercializzata dal gruppo Napoleon di Verona. Così ho deciso di denunciare i fatti alla guardia di finanza, che sequestrò i prodotti».

Ciaculli ha raccontato anche di aver ricevuto «segnalazioni da altre parti d’Italia sulla presenza dello stesso bollino in diversi supermercati Lidl». E insieme alle segnalazioni, dopo il clamore scoppiato per la diffusione della notizia, arrivarono i anche le minacce: «Si presentarono all’opificio alcuni malviventi, tra cui Michele Brandimarte e Francesco Nigito, uccisi poco tempo dopo, insieme al responsabile commerciale della Napoleon, dicendomi che dovevo ritirare la denuncia perché avevo creato il caos in tutta Italia». Centocinquantamila euro è la cifra che sarebbe stata proposta a Ciaculli in cambio del suo silenzio. «Ho risposto che i soldi sporchi non avrebbero mai trovato godimento a casa mia e me ne sono andato», dice.

Per l’imprenditore vittoriese, Lidl non avrebbe seguito i protocolli a tutela dei consumatori e avrebbe continuato a vendere le melanzane. Così le denunce sono andate avanti, anche con l’aiuto delle associazioni di categoria, ma poco dopo per Ciaculli arriva la stangata. «Avevo un contratto di fornitura nazionale con Eurospin Italia pari a cinque milioni di euro di fatturato. Da una settimana, non ricevevo ordini dalla grande catena commerciale. Così, preoccupato, chiamai l’ufficio contabilità della piattaforma logistica di Catania per sapere cosa fosse successo. La loro risposta – ricorda l’imprenditore – fu che non potevo più lavorare in quanto ero diventato scomodo».

Per Ciaculli inizia un calvario che in breve tempo lo porterà a chiudere l’azienda. «Un giorno, mentre andavo nelle mie terre, mi fermarono due tipi con la macchina: “T’affari i cazzi tuoi se ci tieni a ta famigghia”, mi dissero». E dalle parole ai fatti, il passo fu breve. Le intimidazioni iniziarono con le lettere anonime. «”Mortu ca camina mutu”, recitava un messaggio. Poi fu la volta di un animale putrefatto lasciato davanti casa, l’impiccagione del mio gatto in giardino, sabotaggi alla macchina, l’incendio dell’opificio nel 2015, fino ad arrivare – prosegue – all’auto bruciata, nell’agosto del 2016, con un mazzo di fiori davanti la porta e un biglietto minatorio: “Ciaculli ci stai scassanu a min***a chistu è l’ultimo avviso”».

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Giovanni Megna