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Cosa nostra non è sconfitta. È viva, radicata e ancora organizzata secondo un modello verticistico. È questo uno dei dati più rilevanti emersi dalla nuova Relazione semestrale della DIA (Direzione Investigativa Antimafia), presentata questa mattina in conferenza stampa dal Direttore, Generale di Corpo d’Armata Michele Carbone, e trasmessa in diretta streaming sul sito ufficiale dell’agenzia.
La relazione, come di consueto, offre una mappatura dettagliata delle mafie presenti sul territorio nazionale, con un’attenzione particolare anche alle organizzazioni criminali straniere attive in Italia. Ma è sulla Sicilia – e in particolare sulle province di Palermo, Trapani e Agrigento, che ricadono sotto la giurisdizione della Corte d’Appello di Palermo – che il report accende i riflettori.
Palermo: otto mandamenti, una struttura ancora verticale
Il quadro tracciato è chiaro: nonostante decenni di azioni repressive condotte da magistratura e forze dell’ordine, le articolazioni territoriali di Cosa nostra sono pienamente operative. A Palermo città, i mandamenti restano otto, a cui si aggiungono sette nel resto della provincia. La struttura mafiosa continua a funzionare con vertici ben identificati, famiglie e gerarchie interne, anche se si registrano tentativi – finora incompleti – di ricostituire un organismo direttivo unitario sul modello della tradizionale commissione.
Un’organizzazione adattiva: meno violenza, più dialogo
Secondo la DIA, la mafia palermitana ha sviluppato strategie adattive alla pressione giudiziaria: predilige un coordinamento orizzontale tra i mandamenti, che consente una gestione condivisa delle attività criminali e una composizione non violenta delle controversie interne, sempre più frequente nelle ultime operazioni di polizia giudiziaria. La violenza viene mantenuta come estrema ratio, ma la sua minaccia resta uno strumento fondamentale per esercitare potere sul territorio.
L’economia come nuovo campo di conquista
Oltre al controllo sociale e al traffico illecito, Cosa nostra guarda sempre più all’infiltrazione nel mondo dell’impresa. L’interesse è duplice: da un lato, ripulire i proventi criminali; dall’altro, acquisire influenza nei settori produttivi, approfittando anche delle difficoltà di alcune aziende locali. Un fenomeno già noto, ma che il report della DIA sottolinea come in crescita e da monitorare con la massima attenzione.
L’azione interforze e il ruolo delle Prefetture
La relazione documenta anche l’impegno della DIA nei Gruppi Interforze antimafia attivi presso ogni Prefettura (istituiti con il D.M. del 21 marzo 2017) e il supporto alle autorità prefettizie nell’applicazione delle misure amministrative antimafia previste dal Codice Antimafia. Un’attività parallela e preventiva, volta a bloccare sul nascere le possibili infiltrazioni nei contratti pubblici, nelle concessioni e nei finanziamenti.
Un nemico che cambia volto, ma non obiettivi
Il messaggio della DIA è netto: le mafie non arretrano, cambiano pelle. Cosa nostra, in particolare, resta una presenza organizzata, silenziosa ma efficace, capace di riprodurre potere e consenso anche in contesti mutati. La lotta non è finita. E continua su più fronti: investigativo, economico e culturale.
La relazione completa è disponibile sul sito ufficiale della DIA.