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Sicilia tra autonomia fiscale e stabilità finanziaria: le sfide dietro i numeri

PALERMO – Il governo regionale guidato da Renato Schifani incassa un nuovo giudizio positivo dalle agenzie di rating, mentre sul fronte interno si apre un cantiere delicato: quello dell’autonomia fiscale. Fitch ha confermato il rating “BBB” con outlook stabile per la Regione Siciliana, riconoscendo una gestione più prudente del debito e un profilo di rischio finanziario in miglioramento. Un segnale che, insieme agli aggiornamenti di Moody’s e Standard & Poor’s, fotografa una situazione in lenta evoluzione dopo anni di instabilità contabile.

Ma dietro i numeri e gli annunci, restano aperti diversi interrogativi: quali saranno gli effetti reali della “fiscalità di sviluppo” e quali rischi comporta per una Regione ancora esposta a forti squilibri economici e sociali?

I conti migliorano, ma restano fragili

Secondo Fitch, la Sicilia ha ridotto la propria esposizione debitoria e ha contenuto la propensione all’indebitamento. Il miglioramento del “standard credit profile” da BB a BB+ è il segnale più evidente. Anche Moody’s e Standard & Poor’s avevano riconosciuto progressi, ma nel contesto di un sistema regionale che resta comunque fragile: il tessuto produttivo è debole, la pressione fiscale elevata e la disoccupazione tra le più alte d’Italia.

Il presidente Schifani ha letto il dato come una conferma della “credibilità” ritrovata e della capacità dell’Isola di diventare attrattiva per nuovi investimenti. Ma le agenzie si limitano a registrare una gestione contabile più ordinata, non necessariamente una svolta strutturale.

La vera novità: leva fiscale regionale, tra opportunità e rischi

Il punto di svolta, però, arriva sul piano politico: il Consiglio dei ministri ha approvato la norma di attuazione dello Statuto siciliano che riconosce alla Regione la possibilità di intervenire direttamente su alcune aliquote fiscali, modulando imposte, detrazioni e contributi. Un principio già previsto sulla carta dal 1946, ma rimasto inapplicato per decenni.

L’assessore all’Economia Alessandro Dagnino parla di “svolta storica” e annuncia misure concrete a partire dalle prossime leggi di bilancio: incentivi alle imprese, agevolazioni per le fasce deboli, riduzioni fiscali per i pensionati stranieri che decidono di trasferirsi in Sicilia – sul modello già sperimentato in Portogallo. Si tratta, sulla carta, di una fiscalità orientata allo sviluppo, con margini di intervento importanti.

Ma la questione centrale è se la Sicilia abbia oggi gli strumenti amministrativi, finanziari e politici per reggere un simile grado di autonomia, senza aumentare la frammentazione del sistema tributario né compromettere l’equilibrio dei conti.

Un equilibrio da costruire

Il nuovo scenario apre margini di manovra ma anche di rischio. La possibilità di introdurre esenzioni e compensazioni fiscali, ad esempio, può generare una corsa alle agevolazioni senza un vero impatto moltiplicativo sull’economia, soprattutto in assenza di un piano industriale coerente e di una macchina amministrativa efficiente.

Inoltre, l’efficacia della “fiscalità di sviluppo” dipenderà da una delicata partita di equilibri tra Regione, Stato centrale e Unione europea. I vincoli di bilancio, le norme sugli aiuti di Stato e le diseguaglianze tra territori pongono limiti stringenti a qualsiasi sperimentazione avanzata.

La Sicilia tra autonomia e dipendenza

Il quadro complessivo, quindi, è in chiaroscuro. Se da un lato i segnali macroeconomici mostrano una certa tenuta, dall’altro il contesto sociale e produttivo resta fragile. L’autonomia fiscale, se non accompagnata da riforme strutturali e capacità amministrativa, rischia di tradursi in un’occasione sprecata.

In questo senso, la Sicilia si trova oggi a un bivio: ha ottenuto un riconoscimento importante in termini di autonomia, ma dovrà dimostrare di saperlo gestire. L’equilibrio tra attrattività fiscale e sostenibilità dei servizi pubblici sarà la vera cartina di tornasole della strategia di Schifani. Una scommessa che richiederà tempo, competenze e un costante confronto tra ambizione politica e sostenibilità economica.

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