Il Mezzogiorno si candida a diventare snodo strategico tra Europa e Africa. A Maida, in provincia di Catanzaro, si è aperto il Global South Innovation 2025, forum internazionale che riunisce oltre cinquanta esperti, istituzioni e imprese per definire un nuovo modello di sviluppo per il Sud. L’obiettivo è ambizioso: trasformare il Mediterraneo in una piattaforma […]
La recente accusa nei confronti della filiera ortofrutticola del Sud-Est Sicilia rischia di lasciare un segno profondo. Il Distretto Ortofrutticolo Sud-Est Sicilia (DOSES), che raggruppa oltre 170 produttori, nega ogni responsabilità: «Nessuna irregolarità, controlli sempre negativi», recita il comunicato. Eppure, in parallelo, le autorità sanitarie europee e britanniche hanno segnalato un aumento dei casi di Salmonella Strathcona, un ceppo raro, che da due anni si diffonde in diversi Paesi europei e che in alcuni casi è stato collegato al consumo di piccoli pomodori. Il risultato è un settore sotto accusa, tra dati epidemiologici, difese aziendali e una filiera che teme un danno economico e reputazionale non indifferente.
Il quadro epidemiologico: dai primi focolai ai dati aggiornati
La diffusione del batterio non è un evento isolato né recente. Le prime segnalazioni risalgono all’inizio del 2023, ma secondo l’ultimo rapporto congiunto dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) e dell’European Food Safety Authority (EFSA), aggiornato al 30 settembre 2025, sono stati 437 i casi confermati di infezione da Salmonella enterica serotipo Strathcona (ceppo ST2559) in 17 Paesi dell’Unione Europea e dello Spazio Economico Europeo.
Il dato è in crescita rispetto al precedente aggiornamento del novembre 2024, quando i casi erano 232. Si tratta quindi di un focolaio transfrontaliero prolungato, che secondo le analisi genetiche e ambientali potrebbe essere legato al consumo di piccoli pomodori – “cherry” o “grape” – coltivati in alcune aree della Sicilia.
Un campione d’acqua prelevato da un sito di produzione agricola nell’isola è risultato positivo al ceppo di Salmonella in questione, ma gli stessi rapporti europei precisano che “sono necessarie ulteriori verifiche per confermare la fonte definitiva dell’infezione”. In altre parole, la Sicilia è indicata come area di possibile origine, non come responsabile accertata.
Ad oggi, non esiste alcuna prova definitiva che colleghi in modo diretto e sistematico i pomodori siciliani al focolaio di Salmonella Strathcona. I dati epidemiologici indicano una coincidenza territoriale, non una responsabilità conclamata. Eppure, la questione è già diventata un caso mediatico, capace di mettere in difficoltà uno dei settori più virtuosi dell’agricoltura italiana.
La vera sfida per la Sicilia non è solo difendersi, ma mostrare di saper gestire la complessità: dimostrare che la trasparenza è parte integrante del valore del prodotto, che la sicurezza alimentare non è un vincolo ma un vantaggio competitivo. Solo così, dai dubbi potrà nascere una consapevolezza nuova – quella di un’agricoltura che non teme le indagini, ma le affronta come un’occasione per crescere in credibilità.
La reazione del comparto siciliano
Il DOSES ha respinto le accuse con fermezza, sottolineando che nessuno dei produttori associati ha segnalato irregolarità e che tutti gli esiti dei controlli interni sulle acque e sui prodotti sono risultati negativi.
«I nostri agricoltori rispettano con scrupolo tutte le buone pratiche agricole – dichiara Antonino Di Paola, presidente del Distretto – L’allarmismo rischia di danneggiare ingiustamente la reputazione di un comparto che rappresenta un’eccellenza del Made in Italy».
Anche il direttore Gianni Polizzi ribadisce che «le imprese del Distretto operano nel rispetto delle norme europee più rigide e adottano certificazioni internazionali riconosciute. Non accettiamo che venga messa in discussione la credibilità di chi produce seguendo protocolli di sicurezza e sostenibilità».
Le zone d’ombra: controlli, tracciabilità e percezione pubblica
Il contrasto tra i dati sanitari e le dichiarazioni dei produttori apre interrogativi cruciali.
Il primo riguarda la tracciabilità: le indagini europee fanno riferimento ai “pomodori siciliani” in modo generico, senza identificare aziende o aree precise. Ciò rende difficile distinguere tra produzioni che rispettano pienamente le norme e lotti potenzialmente contaminati.
Il secondo nodo è la contaminazione ambientale. Le ipotesi più accreditate parlano di possibili contaminazioni da acque di irrigazione o da superfici a contatto con il prodotto fresco. Tuttavia, i controlli condotti dal DOSES e dalle autorità regionali non hanno riscontrato valori anomali. È quindi probabile che la contaminazione, se avvenuta, sia stata episodica, localizzata o esterna alla rete dei grandi consorzi organizzati.
Il terzo elemento riguarda la comunicazione. Il rischio, in casi come questo, è che una notizia incompleta produca un danno d’immagine generalizzato, coinvolgendo anche chi non ha alcuna responsabilità diretta. È già successo con altri prodotti “bandiera” del Made in Italy: una notizia sanitaria può compromettere mercati e fiducia più velocemente di quanto la scienza riesca a chiarire i fatti.
Il banco di prova per la filiera
Per uscire dal cono d’ombra di questa vicenda, il comparto siciliano dovrà dimostrare trasparenza e rigore. Gli esperti suggeriscono alcune mosse strategiche:
- rendere pubblici i dati aggiornati dei controlli microbiologici su acqua e suolo;
- affidarsi a audit indipendenti che certifichino le pratiche di irrigazione e confezionamento;
- comunicare in modo unitario con le istituzioni europee per chiarire la posizione della filiera;
- rafforzare le misure di prevenzione ambientale, perché anche un singolo caso isolato può compromettere anni di lavoro e di reputazione.