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Coronavirus, Confcommercio Sicilia su decreto fiscale: misure insufficienti

Il decreto fiscale, indirizzato a dare aiuti alle imprese in difficoltà a causa del Coronavirus, rischia di essere insufficiente per le piccole e micro imprese, spina dorsale del sistema Italia.

Lo afferma Confcommercio Sicilia secondo cui si ha a che fare con un Dl di fatto senza respiro che – in assenza di un cambio di passo da parte del governo – decreterà la morte delle imprese più deboli lasciandone altre molto ammaccate, soprattutto nel sud Italia. Uno dei rischi più concreti è rappresentato dalla vendita ai soliti fondi internazionali di aziende che non saranno in grado di reggere questi momenti.

D’altro canto, sottolinea Confcommercio Sicilia, il raffronto è tra i 25 miliardi messi sul tavolo dal nostro Governo nazionale contro i 500 della Germania. “Questa non è Europa. Ne usciremo impoveriti pesantemente. Il tema, secondo noi, resta il differenziale tra noi e gli altri paesi. E in queste situazioni emerge con chiarezza – dice il presidente regionale di Confcommercio Sicilia Francesco Picarella -.Cominciamo con il dire, però, che, al centro di tutto, oggi, deve esserci la lotta e il sostegno al sistema sanitario nazionale per fronteggiare il virus. Parallelamente, occorre mettere in moto tutte le azioni necessarie affinché il sistema produttivo sia pronto per la ripresa. Quello che ci aspettavamo doveva essere un piano straordinario illimitato per risollevare il sistema economico italiano, dopo la forzata chiusura e relativa contrazione del sistema imprenditoriale”.

I commercianti sono dunque insoddisfatti delle misure del governo Conte: “Siamo ancora in attesa, insomma, che il Governo nazionale metta in campo uno strumento idoneo, un po’ come quello attuato da Mario Draghi, profondendo la massima disponibilità sul territorio italiano, così come sta facendo il governo tedesco per aiutare le imprese tedesche e i problemi di cassa dovuti all’epidemia di coronavirus. Confcommercio Sicilia, poi, analizza, voce per voce, le varie misure introdotte – dice ancora Picarella -. A cominciare dalla sospensione dei versamenti dei contributi previdenziali ed assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria e di tutti gli adempimenti, circostanza che, ovviamente, non risolve il problema ma lo rinvia. Le aziende con crisi di liquidità che hanno chiuso e che si spera riaprano presto, si troveranno il 31 maggio a dover affrontare una spesa non programmata, così come la rateizzazione in sole 5 rate risulta inadeguata”.

Un esempio? Nel credito d’imposta per botteghe e negozi, sono tenute fuori dalla casistica alcune categorie catastali ivi compresa quella del settore alberghiero.

“La previsione di un credito d’imposta poteva essere efficace qualora ci fosse la possibilità di incasso, cosa molto improbabile visto la chiusura di gran parte delle attività a seguito del problema sanitario – dice Picarella -. Inoltre, le Regioni possono autorizzare una cassa di integrazione salariale in deroga in favore delle imprese per cui non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario in costanza di rapporto. La cassa integrazione in deroga, secondo noi, doveva essere gestita in forma generale su tutto il territorio nazionale perché la scelta di demandare alle regioni la questione rischia disparità di trattamento e di risorse. E ancora riteniamo inadeguato il riconoscimento una tantum pari a 500 euro per i liberi professionisti titolari di partite iva, cococo e lavoratori dello spettacolo.nE’ necessario, altresì, adoperarsi per la moratoria dei protesti e per il blocco delle bollette”.

 

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