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Non chiamiamoli turisti ma viaggiatori. “Il patrimonio culturale è vivo in quanto produce economia, e tanto in quanto la comunità locale, che è fatta dalle associazioni, dalle imprese, dai cittadini, gli riconosce anche un valore contemporaneo”. Federico Massimo Ceschin, Segretario generale dei Cammini d’Europa ha proposto questo nuovo paradigma nel corso di un seminario di studio su “Cammini, percorsi, itinerari ed economia della bellezza: verso il primo anno europeo del patrimonio culturale 2018”, che si è tenuto al Dipartimento di Economia dell’Università di Messina. Uno di una serie di incontri di formazione e aggiornamento, voluti ed organizzati da Filippo Grasso, docente di Analisi di mercato di Unime e recentemente nominato esperto all’assessorato al Turismo del Comune di Montalbano. Ceschin che ha fatto anche parte del tavolo tecnico del Ministero dei beni culturali e del turismo, si occupa di cooperazione internazionale, indirizzata a sostenere lo sviluppo e la crescita dei territori attraversati dai principali itinerari culturali del continente verso l’Oriente e il Mediterraneo. “La Sicilia è il ponte tra l’Europa e il Mediterraneo ma si guarda ancora questo mare più con paura che come una risorsa. L’economia della bellezza è capacità di appartenere al patrimonio e non viceversa, e l’appartenenza non è solo memoria, è una rivoluzione dello sguardo.
Come fare diventare il patrimonio culturale economia?
Siamo abituati a considerarci come detentori della grande identità culturale, della grande bellezza, ma al massimo siamo custodi, dobbiamo essere comunità che scuote il patrimonio culturale e riesce a crearne valore contemporaneo, non abbiamo solo la funzione di tutela e salvaguardia e di valorizzazione che si traduce in consolidamenti murari ma di “agitazione” per consentire ai nostri giovani occupazione qualificata.
La Sicilia cosa può fare?
Questo paese ha una crosta da togliere o saremo superati nelle classifiche internazionali del turismo anche dalla Turchia. La Sicilia ha i paesaggi, il vino, le saline, siti archeologici e tantissimo altro, si deve posizionare tutto questo come un’esperienza e non più solo come un patrimonio, con una narrazione unitaria. Un esempio viene dal recupero dei vitigni autoctoni, dentro l’area archeologica di Selinunte. Qui la sovrintendenza ha consentito di utilizzare una parte del terreno archeologico per ripiantare vecchi vitigni. Si mette insieme interesse degli operatori con l’identificazione della comunità locale con la proiezione del patrimonio c una narrazione unitaria e coinvolgente di tutti gli elementi che compongono questo patrimonio che non sono solo sassi ma tutto quello che si riesce ad aggregare intorno.
Quali errori sono stati fatti, c’è una responsabilità politica ?
Dalla Sicilia mi sarei aspettato e mi aspetto ancora oggi un ruolo guida, trainante. Proprio come il Trentino è riuscito a fare scuola sulla valorizzazione del paesaggio e prodotti tipici anche con la destagionalizzazione, mi aspetto lo stesso dalla Sicilia con il patrimonio culturale. La regione più ricca ma quella che non è riuscita a utilizzare l’autonomia per staccarsi da una visione nazionale conservatrice e fare un passo avanti. La politica ha una parte di responsabilità ma non tutte. Credo che il tema vada connesso alla comunità locale, la responsabilità è di tutti. Il patrimonio è vivo in quanto produce economia e tanto in quanto la comunità locale che è fatta dalle associazioni, dalle Pro loco, dalle imprese, dai cittadini riconosce un valore contemporaneo al bene culturale e non solo di memoria. Un consiglio anche al nuovo presidente Nello Musumeci Si sta componendo una nuova Giunta in Sicilia sarebbe bellissimo che si facesse un ulteriore integrazione e mettere insieme alla cultura e al turismo come è stato fatto anche a livello ministeriale, anche lo sviluppo economico, sarebbe un segnale.