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Nessuna sanatoria per gli abusi edilizi commessi entro i 150 metri dalla battigia in Sicilia dopo il 1976. È quanto ha stabilito la Corte Costituzionale, con una decisione destinata ad avere impatti rilevanti su migliaia di immobili abusivi e su numerosi contenziosi ancora pendenti.
Al centro della sentenza n. 72/2025 c’è l’articolo 2, comma 3, della legge regionale siciliana 15/1991, che stabilisce l’immediata e diretta efficacia, anche per i privati, del vincolo di inedificabilità introdotto già nel 1976 dall’art. 15 della legge regionale 78/76. Secondo la Corte, tale norma non ha natura innovativa, come sostenuto dai ricorrenti, ma è da considerarsi una legittima norma di interpretazione autentica, dunque valida fin dall’origine.
La questione: sanabilità o meno degli immobili abusivi costruiti prima del 1985
Il caso nasce da diciotto ordinanze del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana (CGARS), che aveva sollevato dubbi sulla legittimità costituzionale del vincolo imposto dalla Regione, soprattutto per la sua applicazione retroattiva ai privati.
Secondo il CGARS, il vincolo di inedificabilità previsto nel 1976 doveva ritenersi rivolto solo ai Comuni, per l’adeguamento dei piani regolatori, e non direttamente ai cittadini. In questo quadro, gli immobili realizzati tra il 1977 e il 1983 in Comuni che non avevano ancora aggiornato i propri strumenti urbanistici, non sarebbero stati soggetti a tale divieto e avrebbero potuto rientrare nelle sanatorie edilizie previste dalla legge 47/1985.
Di diverso avviso la Corte Costituzionale, che ha ritenuto infondate tutte le eccezioni principali e inammissibili quelle subordinate.
La ratio della decisione: tutela dell’ambiente e gerarchia normativa
Secondo la Consulta, il vincolo introdotto nel 1976 aveva già contenuto precettivo, non limitato ai Comuni. La legge del 1991 ha solo chiarito – e non innovato – che tale divieto doveva ritenersi valido erga omnes, cioè anche nei confronti dei soggetti privati. Il legislatore siciliano ha inteso così evitare che l’inerzia degli enti locali producesse una tutela diseguale del litorale, vanificando l’interesse pubblico alla conservazione dell’ambiente costiero.
Nella sentenza si legge che: «il divieto di costruzione nella fascia di 150 metri dalla battigia esprime un precetto normativo unitario fin dall’origine», e che «non può sussistere un affidamento legittimo da parte di chi ha costruito in violazione della legge, anche se i piani regolatori comunali non erano stati aggiornati».
Impatto sui condoni edilizi: la sanatoria è definitivamente preclusa
Con questa pronuncia, la Corte ha sgomberato il campo da ogni residuo margine interpretativo: le costruzioni abusive realizzate dopo il 1976, entro la fascia costiera dei 150 metri, non possono essere condonate, nemmeno nei Comuni che non avevano ancora adeguato i loro PRG.
Ciò comporta l’inevitabile conferma delle ordinanze di demolizione già adottate da numerose amministrazioni comunali e una stretta definitiva sulle pratiche di sanatoria rimaste in sospeso da decenni.
Un principio destinato a valere per tutto il territorio regionale
La sentenza chiude una lunga stagione di incertezza normativa e giurisprudenziale, durata quasi cinquant’anni. E segna un punto fermo per la politica urbanistica siciliana, imponendo alle istituzioni locali un’applicazione uniforme del vincolo costiero, senza eccezioni legate a lacune regolamentari comunali.
Il principio affermato è chiaro: la tutela ambientale prevale su ogni affidamento individuale generato da prassi amministrative difformi. E la Regione Siciliana, con la sua legislazione pionieristica del 1976, è legittimata a perseguire scelte di salvaguardia del territorio costiero anche con strumenti di legge retroattivi, purché ragionevoli e proporzionati.
Conclusioni
Con la sentenza n. 72 del 2025, la Corte Costituzionale ha posto un argine definitivo al rischio di condoni generalizzati lungo le coste siciliane. Un monito non solo ai cittadini, ma anche ai Comuni e alle istituzioni regionali: il rispetto del vincolo paesaggistico e ambientale non è negoziabile, nemmeno quando è il frutto di un’interpretazione autentica che si radica nel tempo. E l’abusivismo, anche se risalente, non può trovare legittimazione in vuoti normativi o ritardi amministrativi.