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La manovra delle attese: la Sicilia alla prova della crescita tra incentivi, burocrazia e realtà

C’è un filo di cauto ottimismo nei corridoi di Palazzo d’Orléans. Dopo anni passati a rincorrere il disavanzo e a correggere conti pubblici sempre in affanno, la giunta regionale siciliana prova a cambiare passo. La legge di stabilità 2026-2028, approvata pochi giorni fa, segna nelle intenzioni un punto di svolta: 1,2 miliardi complessivi, di cui circa 300 milioni di nuovi interventi. Ma soprattutto una promessa, quella di rimettere in moto l’economia isolana.

Il presidente Renato Schifani la definisce “una manovra che mette al centro lavoro e imprese”. Parole che suonano come un manifesto politico più che contabile. Al suo fianco, l’assessore all’Economia Alessandro Dagnino parla di “una fase nuova dopo il rigore”: “Dopo anni di emergenza finanziaria, vogliamo tornare a investire”. Dietro la retorica, tuttavia, si nasconde una domanda antica: riuscirà la Sicilia a trasformare le risorse in crescita reale, occupazione e competitività?

Il nodo del lavoro: incentivi sì, ma risultati incerti

Il primo segnale arriva dal cuore della manovra: il lavoro stabile. Il governo regionale stanzia 220 milioni di euro per incentivare le assunzioni a tempo indeterminato. Alle imprese che assumono viene promesso un contributo fino al 10% del costo annuale per ciascun lavoratore, un meccanismo che nelle intenzioni dovrebbe alleggerire il peso del costo del lavoro e spingere l’occupazione regolare. Ci sono poi 50 milioni per le aziende che collegano le nuove assunzioni a investimenti produttivi, e il ritorno del programma “Sicily Working”: 20 milioni per sostenere chi trasforma contratti precari in rapporti stabili e sceglie di far lavorare i dipendenti da remoto, magari nei borghi dell’interno.

Le risorse, però, non garantiscono risultati. Il mercato del lavoro siciliano resta frammentato, con un tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti d’Europa e una produttività inferiore alla media nazionale. Gli incentivi rischiano di avere un effetto spot, se non accompagnati da politiche industriali e infrastrutturali capaci di generare domanda reale di lavoro.

Super Zes: tra ambizioni industriali e limiti strutturali

Nel pacchetto spicca la nascita delle Super Zes, le zone economiche speciali “potenziate” che dovrebbero attirare investitori e semplificare le procedure. Il fondo iniziale è di 10 milioni di euro: una cifra simbolica, se rapportata alla necessità di creare distretti realmente competitivi in logistica, manifattura e green economy.

L’idea è chiara: puntare su aree ad alta vocazione produttiva, dove le imprese possano insediarsi con tempi più rapidi e costi ridotti. Ma senza un coordinamento forte con la Zes unica nazionale e senza una cabina di regia capace di evitare la burocrazia endemica, la misura rischia di restare un contenitore vuoto.

Edilizia e transizione verde: la risposta al post-Superbonus

Altro asse della manovra è l’edilizia privata. Dopo il tramonto del Superbonus, la Regione tenta di mantenere vivo il settore con 15 milioni l’anno per tre anni destinati a famiglie e condomìni. I fondi serviranno a coprire fino al 50% delle spese per consolidamento strutturale, riqualificazione energetica e installazione di impianti da fonti rinnovabili.

Un’operazione che guarda più alla tenuta del comparto che a un reale salto di qualità sul piano ambientale. Ma è anche un segnale: l’amministrazione regionale prova a colmare il vuoto lasciato dal governo nazionale, intercettando una domanda di edilizia sostenibile che in Sicilia non si è mai spenta del tutto.

Enti locali e misure diffuse: la mappa frammentata della manovra

Oltre ai macro-temi di lavoro e imprese, la legge di stabilità disegna una mappa frammentata di interventi minori. 350 milioni di trasferimenti ai Comuni, 115 milioni per investimenti locali e 108 milioni alle ex Province per garantire continuità amministrativa.

Ci sono poi misure puntuali: 6,1 milioni di euro per ridurre le liste d’attesa sanitarie, 5 milioni di incentivi ai Comuni virtuosi nella riscossione, 2 milioni per la prevenzione degli incendi boschivi, fondi per scuole, disabili, forestali, parchi urbani e contrasto al disagio sociale. Sono interventi che rispondono a bisogni concreti, ma che nel complesso non disegnano ancora una strategia coerente. È la fotografia di una Sicilia che si muove a piccoli passi, tra la necessità di gestire l’ordinario e il desiderio – spesso frustrato – di costruire sviluppo.

Due Sicilie: quella della programmazione e quella della realtà

La sensazione è che questa manovra racconti due Sicilie. La prima è quella della programmazione e degli annunci, fatta di fondi, sigle e commi: una Sicilia che vuole essere competitiva, attrattiva, moderna. La seconda è quella che si misura con la realtà quotidiana: procedure lente, fondi europei non spesi, imprese in difficoltà a investire, giovani che continuano a partire.

La vera sfida, ora, è trasformare la manovra da dichiarazione d’intenti a piano operativo. Servono tempi rapidi, monitoraggio costante, burocrazia leggera. E serve anche una visione industriale che oggi ancora manca: dove vuole andare la Sicilia nei prossimi dieci anni? Quali settori trainanti intende sostenere davvero?

Oltre i numeri: la sfida della credibilità

La legge di stabilità 2026-2028 è, in fondo, uno specchio della politica economica siciliana: prudente, ambiziosa, ma costantemente in bilico tra ciò che promette e ciò che riesce a realizzare. Le cifre ci sono, ma la credibilità si costruirà solo con i risultati.

Perché se le misure restano sulla carta, anche la stagione “della crescita” rischia di somigliare a quelle precedenti: un esercizio di buone intenzioni che si perde nei meandri della macchina amministrativa.

La Sicilia, oggi, ha una rara occasione: quella di usare le proprie risorse per generare fiducia, occupazione e produttività. Ma dovrà dimostrare di saper passare dalle leggi ai cantieri, dai bilanci alle opportunità reali. Solo allora, forse, si potrà parlare davvero di svolta.

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