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Nato come fenomeno marginale, il nomadismo digitale è oggi una componente strutturale delle economie avanzate. Secondo Forbes, tra i 40 e gli 80 milioni di persone nel mondo vivono e lavorano in movimento. Una fascia ampia e in costante crescita, che intercetta dinamiche globali legate al lavoro da remoto, alla mobilità professionale e alle nuove abitudini di viaggio.
A fare da apripista sono gli Stati Uniti: un recente report di MBO Partners stima 18,1 milioni di nomadi digitali, con un incremento annuo del 4,7% e un balzo del 147% rispetto al 2019. Un salto che coincide con la rivoluzione dello smart working: prima del 2020, solo il 17% dei dipendenti americani lavorava sempre da remoto, quota salita al 44% durante la pandemia.
Il caso Italia: numeri in crescita e potenziale ancora ampio
Anche in Italia la trasformazione è evidente. L’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano registra un passaggio dai 570.000 smart workers pre-Covid al picco di 6,58 milioni nel 2020, per poi stabilizzarsi sugli attuali 3,57 milioni, con un potenziale di ulteriori 3 milioni di lavoratori che potrebbero adottare stabilmente il lavoro da remoto.
Questo mutamento nelle modalità operative ha sfumato il confine tra lavoro e tempo libero e alimentato fenomeni come le workcation, soggiorni temporanei in località turistiche pensati per lavorare da remoto, e il bleisure, l’estensione dei viaggi di lavoro con giorni aggiuntivi di vacanza.
«Stiamo assistendo a una vera rivoluzione nel modo di viaggiare», osserva Rosa Giglio, Head of Brand Marketing and Communication di BWH Hotels Italy & South-East Europe. «La mobilità non è più solo svago, ma parte della routine professionale».
Secondo l’Osservatorio EY Future Travel Behaviours, il 48% degli italiani si dice interessato a combinare vacanza e lavoro; la cifra sale al 67% tra i Millennial e al 79% tra la Gen Z. Le formule preferite: workcation (25%), bleisure (24%) e digital nomadism (14%).
Chi sono i nomadi digitali: età, professioni e reddito
L’identikit del nomade digitale globale – secondo dati Statista citati da Altys – è chiaro: età tra 25 e 44 anni, ma cresce anche la fascia over 50, soprattutto tra consulenti e freelance.
I settori più rappresentati sono quelli digitali e remotizzabili: IT, servizi creativi, istruzione online, che insieme superano il 40% dei lavoratori nomadi. Tra le professioni più comuni: sviluppatori, content creator, coach online, imprenditori e-commerce, influencer, youtuber.
Il reddito medio oscilla tra 3.000 e 4.000 dollari al mese, spesso sfruttando il cosiddetto geo-arbitrage, ovvero vivere in paesi con costi più bassi mantenendo compensi tipici dei mercati occidentali.
Una leva attrattiva per molti Paesi: oggi oltre 64 Stati, Italia compresa, hanno introdotto visti dedicati ai nomadi digitali, con permanenze che vanno da sei mesi a due anni.
Coworking, un mercato da 30 miliardi che raddoppierà entro il 2032
L’impatto economico di questa trasformazione si riflette anche sulla domanda di infrastrutture. Il settore più dinamico è quello degli spazi di coworking, divenuti una piattaforma essenziale per professionisti mobili e imprese distribuite.
Secondo Research and Markets, il mercato globale del coworking ha toccato i 30 miliardi di dollari nel 2025 (erano circa 27 nel 2024) e nel 2032 raggiungerà i 59 miliardi, quasi un raddoppio (+97%), con un tasso di crescita annuo del 9,89%.
«Il coworking non è più solo una soluzione per chi non ha un ufficio», commenta ancora Rosa Giglio. «È un ecosistema che favorisce la contaminazione tra competenze e la nascita di nuove idee».
La nuova frontiera: quando coworking e ospitalità si fondono
A crescere più rapidamente è l’integrazione tra coworking e ospitalità: hotel che diventano hub di produttività, spazi condivisi inseriti nel cuore delle città, servizi ibridi che uniscono comfort e lavoro.
Tra gli esempi, il progetto myWO di BWH Hotels, che trasforma alcune strutture in punti di riferimento per professionisti in movimento. «L’evoluzione del coworking in chiave hospitality è un’opportunità per ripensare il ruolo dell’hotel come luogo di relazione, produttività e benessere», conclude Giglio.
Un cambiamento che riguarda anche l’Italia
La combinazione tra smart working, nuove generazioni e modelli ibridi di viaggio apre un nuovo scenario competitivo anche per il sistema turistico italiano – dalla ricettività ai servizi professionali.
Un fenomeno ancora in costruzione, ma con un impatto già tangibile: il lavoro non è più un vincolo geografico, e la mobilità diventa un valore economico. Per l’Italia, e per la Sicilia in particolare, la sfida ora è trasformare questa tendenza globale in un’opportunità di sviluppo, attrazione delle competenze e rigenerazione dei territori.