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Sicilia, Irpef più leggera perché più povera: il vero nodo resta il lavoro

La Sicilia si colloca tra le regioni italiane in cui il gettito Irpef appare più “leggero”. Un dato che, letto senza contesto, potrebbe sembrare positivo. In realtà, è l’ennesimo segnale di un divario strutturale che condanna l’Isola a restare fanalino di coda sul piano dei redditi e, di conseguenza, della qualità della vita.

Redditi bassi, gettito basso

Secondo l’ultimo rapporto della Cgia di Mestre, oltre il 71% dei residenti siciliani ha un reddito inferiore alla media nazionale. Parliamo di 2 milioni e 205 mila persone che non superano i 19.700 euro l’anno, contro i 25 mila euro mediamente guadagnati nel resto del Paese. Non si tratta quindi di un beneficio fiscale, ma di un riflesso diretto della debolezza del mercato del lavoro e della struttura economica isolana.

Le differenze territoriali sono marcate: in Puglia e Calabria i redditi sono ancora più bassi, mentre molte regioni del Nord superano i 29-30 mila euro annui. La Sicilia, nel frattempo, registra cinque province tra le ultime dieci in Italia per reddito: Trapani (18.631 euro), Caltanissetta (18.477), Enna (18.027), Ragusa (17.625) e Agrigento (17.540).

Un sistema che amplifica le disuguaglianze

Il sistema fiscale italiano si basa sulla progressività: chi guadagna di più paga di più. Ma se i redditi sono bassi, la tassazione leggera non è un premio, bensì il sintomo di una capacità contributiva ridotta. Questo significa meno risorse per lo Stato e meno redistribuzione, in una spirale che rischia di alimentare ulteriori diseguaglianze tra Nord e Sud.

La fragilità dei redditi in Sicilia ha un impatto diretto anche sul welfare familiare: stipendi più bassi significano consumi ridotti, minore risparmio e una capacità quasi nulla di accumulare capitale. Ne deriva un ciclo vizioso che ostacola la crescita economica.

Le radici del problema

Alla base di questa situazione ci sono fattori strutturali che si ripetono da decenni:

  • Mercato del lavoro poco dinamico, con un tasso di occupazione inferiore alla media nazionale;
  • Forte presenza di lavoro precario e informale, che comprime salari e diritti;
  • Scarso sviluppo industriale e tecnologico, con una specializzazione produttiva debole;
  • Dipendenza eccessiva dalla spesa pubblica e dai trasferimenti statali, che non generano crescita duratura.

Il rischio del divario crescente

Se il Nord Italia continua a correre con redditi medi vicini ai 30 mila euro, e il Sud resta fermo sotto i 20 mila, il divario non è più solo una questione di numeri, ma di prospettive. Per i giovani, in particolare, l’unica opportunità resta spesso la migrazione, alimentando lo spopolamento e l’invecchiamento demografico.

La vera sfida: lavoro e produttività

Il dato sul gettito Irpef ci ricorda che la Sicilia non ha bisogno di “meno tasse”, ma di più lavoro stabile e ben retribuito. Le risorse europee e nazionali che arrivano sull’Isola dovrebbero essere orientate non a interventi emergenziali o a grandi opere isolate, ma a rafforzare il tessuto produttivo, sostenere le imprese innovative e valorizzare le filiere strategiche locali.

Solo così si potrà invertire la rotta: non alleggerendo il fisco perché c’è poco da tassare, ma costruendo un’economia in cui i cittadini possano contribuire di più perché guadagnano di più.

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