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Sul fronte del mercato del lavoro il Covid-19 non si è rilevato un equalizzatore e il costo della pandemia è pesato soprattutto sulle fasce più deboli. A dimostrarlo i risultati emersi da uno studio di Vincenzo Galasso del Covid Crisi Lab Bocconi (www.covidcrisislab.unibocconi.eu) e di Martial Foucault di Sciences Po -Parigi, nell’ambito di un progetto internazionale che comprende 12 paesi (REPEAT – REpresentations, PErceptions and ATtitudes on the COVID-19). Lo studio evidenzia come gli individui meno istruiti, impegnati in lavori manuali e a più basso reddito ne hanno subite le conseguenze più pesanti sul fronte lavorativo.
L ‘analisi parte dai risultati di una survey condotta in Australia, Austria, Brasile, Canada, Francia, Germania, Italia, Nuova Zelanda, Polonia, Svezia, Regno Unito e USA su un campione di almeno 1.000 persone per paese a cui veniva chiesto della loro situazione lavorativa.
Lo studio illustra innanzitutto che il costo della pandemia è pesato in modo più marcato sulle fasce meno istruite del mercato del lavoro. I laureati e gli individui con reddito maggiore sono sovrarappresentati tra coloro che hanno potuto continuare a lavorare da casa (i dati più alti si registrano in Nuova Zelanda con il 71%, Regno Unito 62% e Italia 61%) mentre tra i diplomati hanno continuato a lavorare in modalità smartworking solo il 24% in Germania e il 33% in Italia.
Le disparità emergono anche analizzando la tipologia di lavoro. In Francia e Austria, per esempio, due lavoratori manuali su tre hanno proseguito la propria attività nel loro abituale luogo di lavoro esponendosi così anche a un maggiore rischio di contagio. I colletti bianchi invece lavorano più da casa (circa 2/3 in Francia e Italia e 3/4 nel Regno Unito) e rimangono inattivi meno (11% in Francia , 14% in UK e 18% in Italia). A interrompere del tutto la propria attività lavorativa invece sono stati soprattutto i lavoratori a basso reddito (il 50% in Canada) e i lavoratori manuali (il 50% in Italia e Regno Unito).
“La chiusura improvvisa delle attività non essenziali e le misure di distanziamento sociale hanno colpito soprattutto i lavoratori più fragili: quelli con contratti temporanei, con bassi livelli di istruzione e con lavori manuali. Neanche gli aggiustamenti adottati da molte imprese per rispondere al lockdown sono stati di grande aiuto per queste persone”, commenta Galasso.
Sul fronte delle differenze di genere, per la maggiore parte le donne lavorano più da casa che gli uomini (eccetto Austria e Svezia) mentre in metà dei paesi le donne sono rimaste più inattive rispetto agli uomini (40% contro 28%% in Brasile, 38% contro 30% in Italia).
Si evidenzia inoltre come queste disuguaglianze che sono emerse hanno anche un impatto sul livello di soddisfazione di vita. In quasi tutti i paesi sono più soddisfati quelli che lavorano da casa.
“Certo il lockdown causato dal Covid-19 non ha reso contento nessuno. Ma molti lavoratori istruiti, provvisti di connessione internet veloci, di pc e tablet, hanno potuto lavorare da casa magari riuscendo anche ad aiutare i figli nella didattica online. Istruzione e infrastrutture digitali hanno mitigato lo shock del Coronavirus per alcuni ma il digital divide per altri è stato uno dei fattori che ha aumentato il livello di diseguaglianza”, conclude Galasso.