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Ogni anno, il 15 novembre, la Commissione Europea ci regala un promemoria amaro: le donne, in media, guadagnano meno degli uomini. Questo è il senso della Giornata Europea della Parità Retributiva, istituita per ricordare che il gender pay gap non è solo un numero: è un problema strutturale che discrimina metà della popolazione mondiale.
Ma cosa succede in Italia? ben poco. Mentre 12 Paesi europei celebrano la giornata con eventi pubblici, dibattiti e iniziative concrete, nel nostro Paese le istituzioni tacciono. E non è un silenzio casuale: è l’ennesima dimostrazione di come la parità di genere rimanga un capitolo trascurato nell’agenda politica.
Perché il 15 novembre?
La data non è casuale: rappresenta il giorno dell’anno in cui, statisticamente, le donne smettono di essere pagate rispetto agli uomini per lo stesso lavoro. A partire da questa data, lavorano simbolicamente “gratis” fino al termine dell’anno. In media, una donna europea guadagna 87 centesimi per ogni euro percepito da un uomo, con un divario salariale del 13% (Commissione Europea).
Cosa ha fatto l’Italia per questa giornata?
Né eventi istituzionali, né campagne di sensibilizzazione, né dichiarazioni di rilievo da parte di figure politiche di spicco. La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, non si è espressa in merito, e lo stesso vale per la maggior parte del governo.
Chi, invece, ha parlato è stata la Commissaria europea per l’Uguaglianza, Helena Dalli, che ha sottolineato: “L’uguaglianza di genere non è un costo, ma un investimento. Un investimento che rafforza la nostra economia, il nostro mercato del lavoro e la nostra società.”
Pochi attori, oltre ad alcune associazioni e testate giornalistiche, hanno sfruttato la giornata per rilanciare l’attenzione sul problema del gender pay gap. Tra questi, spicca l’iniziativa di NOI Rete Donne, che ha chiesto maggiori controlli sull’applicazione della Legge n. 162/2021, una normativa italiana che mira a combattere le discriminazioni retributive tra uomini e donne attraverso maggiore trasparenza e monitoraggio.
Anche alcune università si sono mobilitate: l’Università di Bologna ha organizzato un seminario dedicato alle disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro. Tuttavia, iniziative sporadiche non bastano a mantenere alta l’attenzione sul problema.
Il gender pay gap in Sicilia: il caso più critico
In Sicilia, la situazione è ancora più critica. Il tasso di occupazione femminile si ferma al 29% (ISTAT), il che significa che solo una donna su tre lavora. Chi riesce a entrare nel mercato del lavoro è spesso confinata in settori a bassa retribuzione o con contratti part-time non scelti.
Secondo un’analisi dell’INPS, il 63% delle donne siciliane lavora con contratti a tempo parziale, rispetto al 29% degli uomini. Questo non è solo un problema economico, ma culturale: mancano servizi per l’infanzia e gli anziani, lasciando alle donne il peso del lavoro di cura.
La deputata regionale Jose Marano, promotrice della proposta di legge regionale sulla parità retributiva, ha dichiarato: “In Sicilia, le donne devono affrontare sfide enormi: salari più bassi, contratti precari e un sistema di welfare del tutto insufficiente. Questa legge rappresenta un primo passo per riequilibrare le opportunità.”
Un barlume di speranza: la proposta di legge regionale del 2024
Nel gennaio 2024, la Regione Siciliana ha avanzato una proposta di legge sulla parità retributiva, un’iniziativa rara in un contesto così complesso. La proposta, se approvata, prevede:
- Riduzione del 50% dell’IRAP per tre anni per le imprese che assumono donne garantendo retribuzioni paritarie.
- Creazione di una white list di aziende virtuose con accesso prioritario a bandi regionali.
- Introduzione di una certificazione di pari opportunità, che attesti l’impegno delle aziende nell’uguaglianza di genere.
Le direttive UE: un’opportunità ancora da cogliere
L’Unione Europea sta facendo la sua parte per ridurre le disuguaglianze retributive con due direttive fondamentali:
- La Direttiva (UE) 2022/2041, approvata il 19 ottobre 2022, stabilisce che i salari minimi negli Stati membri devono essere adeguati per garantire condizioni di vita dignitose. L’Italia, che non ha ancora una legge sul salario minimo, deve recepirla entro il 15 novembre 2024.
- La Direttiva (UE) 2023/970, adottata il 10 maggio 2023, obbliga le aziende a garantire maggiore trasparenza sui salari, monitorando e denunciando le disparità di genere. Il termine per il recepimento è fissato al 7 giugno 2026.
Sottolineando l’importanza di queste normative, la Vicepresidente della Commissione Europea, Věra Jourová, ha dichiarato:
“La Giornata della parità retributiva ci ricorda che dobbiamo continuare a impegnarci per colmare il divario retributivo di genere. La parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, sancita dal trattato di Roma nel 1957, è uno dei principi fondanti dell’UE.” (italy.representation.ec.europa.eu)
Cosa possono fare le donne?
In questo scenario, è essenziale che le donne conoscano i propri diritti:
- Richiedere trasparenza salariale: le lavoratrici possono chiedere informazioni sui criteri di retribuzione nella propria azienda.
- Segnalare le discriminazioni: rivolgersi all’Ispettorato del Lavoro o alle Consigliere di Parità regionali.
- Agire legalmente: avviare cause con il supporto di associazioni sindacali o avvocati specializzati.
Un futuro da costruire
La Giornata Europea della Parità Retributiva ci ricorda che il problema non è solo economico, ma culturale e sociale. In Sicilia, il divario retributivo non si colmerà senza politiche strutturali, servizi adeguati e un cambiamento culturale che valorizzi il lavoro femminile.
Per ora, possiamo solo sperare che il 15 novembre non passi inosservato. Perché senza uguaglianza economica non ci sarà mai vera libertà. È un diritto che le donne non possono più permettersi di aspettare.
Brigida Raso