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Giuseppe Caprotti racconta suo padre Bernardo, fondatore di Esselunga

L’imprenditore milanese Giuseppe Caprotti – figlio di Bernardo Caprotti, fondatore del brand Esselunga, e membro di una delle più celebri famiglie imprenditoriali italiane – è l’ospite di Luca Casadei nella nuova puntata del podcast One More Time (OnePodcast). Nell’intensa intervista il noto imprenditore milanese si racconta ai microfoni di Luca Casadei ripercorrendo l’importante storia della sua famiglia che ha rappresentato e rappresenta ancora oggi l’imprenditoria italiana, soffermandosi su episodi della sua esperienza nell’impresa, fino al suo licenziamento, in un percorso che per lui ha significato anche tante sofferenze pubbliche e grandi risultati non riconosciuti.

Emozionandosi Caprotti racconta di un’adolescenza segnata da grandi momenti di tensione, come il tentato rapimento, e da un rapporto controverso con un padre autorevole verso cui prova amore e odio, sentimenti contrastanti che hanno condizionato la sua capacità di stabilire un legame con i suoi figli.

Il nuovo episodio di “One More Time” è disponibile sull’app OnePodcast e su tutte le principali piattaforme di streaming audio

Sul rapporto con il padre, fatto di ammirazione e rivalità «ho dei ricordi molto divertenti. Mio padre è stato per me una persona di grandissimo charme, simpaticissima e divertentissima. Tornava a casa tutti i giorni e provavamo prodotti continuamente. Io sono un grandissimo esperto alimentare grazie a lui, dalla carne di tutti i tipi alla pasta, anche i prodotti più strani, tipo la cotognata perché c’è stato il periodo in cui si mangiava solo cotognata al punto che dicevamo papà per favore basta, non se ne può più. Oppure facevamo i test perché avevamo una cuoca bravissima, preparava delle ricette che lui cercava di applicare in piatti».

Sui discorsi di Mussolini durante il pranzo di Natale: «Io penso che purtroppo mio padre avesse il dono della provocazione anche per poi andare allo scontro. Questi discorsi di Mussolini a me hanno insegnato un sacco di cose. L’arte oratoria di Mussolini, che peraltro non ammiravo, non ammiro e non ho mai ammirato, comunque è qualcosa di importante».

Sulla sua adolescenza segnata da un tentativo di rapimento: «dopo la prima liceo vengo mandato in collegio perché avevano provato a rapirmi. Nel ’75, a un certo punto arriva una telefonata e mi ricordo che il preside venne in classe e disse “Caprotti hanno chiamato da casa e dovresti uscire prima”. Ho detto “non mi risulta, quindi io non esco”. C’è stata tutta un’inchiesta, devo dire lì è stato un brutto capitolo perché ha sospettato dello zio. La cosa si è risolta lì, per poi, dopo l’atmosfera era talmente pesante che io sono stato molto felice di andare in collegio tra Losanna e Ginevra, si chiama Rosey. Il Preside era un colonnello e il vice era un capitano, quindi molto rigoroso»

Sull’’ingresso in Esselunga e l’esperienza in America: «Mia sorella entra in Esselunga. Si era laureata in economia come aveva voluto papà. E io la seguo ma non ho un’idea anche lì di cosa vorrei fare. Lui ha fatto di tutto per farmi andare a lavorare da lui e ho passato un anno e mezzo, poi è arrivato un amico americano, il quale ha detto “Bernardo, cosa cavolo sta a fare qui Giuseppe? Lo porto con me negli Stati Uniti” e lì c’è stato veramente un big bang, nel senso che io ho trovato la mia dimensione: sono finito in un reparto di vendita a fare il commesso e ho avuto il piacere di capire quello che mancava ad Esselunga che c’era in America. Avevano un sistema di gestione industriale del business che noi non avevamo»

Sull’allontanamento dall’azienda: «apprendo dai giornali che mi sono state revocate le deleghe di amministratore delegato. Sono stato fatto fuori da mio padre. Non me l’aspettavo, avevo capito semplicemente che venivo accusato, anche a torto, di aver creato un buco nei bilanci. Ho capito che i conteggi venivano fatti in modo diciamo abbastanza strano. Sono stati abbelliti i bilanci di mio padre e sono stati imbruttiti quelli che mi sono stati attribuiti. Le accuse sono state continue e poi sono arrivate anche quelle via stampa».

Sul tentativo di comprarsi l’azienda nel 2004/2005 e il ricordo di un tentativo di vendita al gruppo straniero Walmart: «Ad un certo punto, tra il 2004/2005, cerco di comprarmi l’azienda. Qualcuno ha anche criticato questa cosa dicendo “eh un padre che si riceve un’offerta da un figlio, chissà come l’ha presa male”. Peccato che la persona in questione si sia dimenticata che all’epoca c’erano delle trattative con un gruppo straniero molto importante, Walmart. Veniva a vedere se e come comprare questa azienda. Personalmente mi sono rifiutato di dare a mio padre la procura per vendere a Walmart. Non fa di me un sovranista, ma insomma fa sicuramente una persona che in qualche modo sente di aver salvato un pezzettino di Italia»

Sul rapporto complicato con i suoi figli: «ho conosciuto la madre dei miei figli in una trasferta da Chicago a Milano, è stata una storia molto bella che purtroppo è finita. Ha sicuramente colmato il senso di famiglia che mancava e non sono stato né un marito né un padre modello. Oggi ai miei figli vorrei dire che mi dispiace, avrei voluto che le cose andassero diversamente, anche con la loro mamma, però non ci sono riuscito».

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