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Scuola e Pa, in pensione con quota 100: quasi pronta la maxi finestra alla legge Fornero

SDe ne parlerà nei prossimi giorni in Consiglio dei Ministri, forse già dopodomani: la quota 100 – riservata ai lavoratori con almeno 62 anni d’età e 38 di contributi – viene introdotta solo “in via sperimentale per il triennio 2019/2021”. Ancora dubbi sull’entità del taglio dell’assegno, ridotto dal 2% al 16% secondo il sottosegretario Durigon, mentre per l’Ufficio parlamentare di Bilancio dal 5% al 30%, in base alle annualità di anticipo rispetto alla quota ordinaria.

In pratica, se un docente della scuola secondaria destinato a lasciare il lavoro a 67 anni con un assegno di circa 1.500 euro netti dovesse decidere di andare in pensione con quota 100 a 62 anni, potrebbe percepire un assegno di 1.200 euro per tutta la pensione. Ciò avviene perché, anticipando l’uscita, si possono far valere meno anni di contributi e il montante pensionistico dovrà essere spalmato su più anni di erogazione. Secondo Marcello Pacifico (Anief-Cisal) rimane inderogabile la necessità di approvare una legislazione con delle deroghe d’uscita per salvaguardare chi opera nella scuola, le cui professionalità, a partire dai docenti, risultano ad alto rischio burnout.

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Potrebbero essere in 70 mila a lasciare la scuola: secondo i tecnici, ricorda Il Corriere della Sera, infatti si stima che dei 430 mila dipendenti potenzialmente interessati, “quelli che effettivamente decideranno di utilizzare questa forma di pensionamento saranno circa 315 mila, di cui il 40% dipendenti pubblici, la metà nella scuola”. A questo punto per Marcello Pacifico diventerebbe indifferibile la riapertura delle GaE per reclutare tutti i docenti abilitati subito inclusi quelli non abilitati con 36 mesi di servizio e gli idonei dei concorsi.

Al contenimento della spesa concorreranno soprattutto le «finestre» trimestrali per i dipendenti privati (per loro le pensioni decorreranno non prima di aprile) e semestrali per i pubblici (i primi assegni a luglio). Ma soprattutto, non tutti gli aventi diritto lasceranno il lavoro. Tra i motivi della mancata richiesta di anticipo pensionistico figura sicuramente la mancata cumulabilità con redditi da lavoro superiori a 5 mila euro l’anno, con il divieto che si protrarrà fino al momento in cui il pensionato raggiunge l’età di vecchiaia (oggi 67 anni): una norma che scoraggerà non pochi aventi diritto, soprattutto fra quei lavoratori con elevata professionalità che spesso quando vanno in pensione fanno i consulenti.

Ma soprattutto, continua il quotidiano nazionale, chi “lascerà prima il lavoro prenderà un assegno più leggero, anche se per un periodo più lungo. E questa perdita, in alcuni casi, potrebbe arrivare a quasi un terzo dell’importo che si sarebbe preso aspettando la pensione di vecchiaia”. A ben vedere, “nel decreto non è prevista alcuna penalizzazione diretta per chi scelga di uscire con «quota 100», ma la normale applicazione dei metodi di calcolo della pensione darà luogo a un assegno alleggerito. Uscendo prima, infatti, si possono far valere meno anni di contributi e il coefficiente di calcolo applicato è più basso per le età più giovani, perché il montante pensionistico dovrà appunto essere spalmato su più anni di erogazione”.

Anche secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, il taglio dell’assegno cresce «da circa il 5% in caso di anticipo solo di un anno a valori oltre il 30% se l’anticipo è di oltre 4 anni». A smentire, in apparenza, l’Upb è stato nei giorni passati il sottosegretario al ministero del Lavoro Claudio Durigon, per il quale “chi andrà in pensione con quota 100 non subirà nessun taglio”, perché “la nostra proposta, a differenza delle altre, presentate anche nella scorsa legislatura e proposte anche in questa fase di manovra dall’Inps, non toglierà nulla a chi andrà in pensione anticipatamente”, salvo poi sottolineare che “è chiaro che chi uscirà con quota 100 avrà una rata pensionistica basata sugli effettivi anni di contributi e non anche sugli anni non lavorati”. Un’ammissione, quella del sottosegretario, che la dice lunga su come stanno le cose.

Per tutti i lavoratori, l’articolo 22 della bozza del decreto prevede sia l’adozione di un Fondo di solidarietà di categoria, a carico delle imprese, sia il versamento, sempre da parte delle aziende, dei contributi per il riscatto della laurea così da consentire il raggiungimento dell’accesso allo stesso scivolo. Per esempio, un lavoratore con 59 anni e 31 anni di contributi arriverebbe ai 35 necessari col riscatto di 4 anni del corso di laurea. L’impresa deduce gli oneri dal reddito. Il riscatto della laurea a carico dell’azienda è infine previsto anche nell’articolo sulla «pace contributiva»: in questo caso riguarda solo chi ha cominciato a lavorare dopo il 1996 e serve per raggiungere la normale quota 100. Infine, per giungere ai 38 anni di contribuzione si potranno cumulare in modo gratuito i versamenti a casse previdenziali diverse, secondo le regole già previste per la pensione anticipata e per quella di vecchiaia.

Invece, non potrà usufruire di ‘quota 100’ chi sia già inserito in un piano per l’esodo dei lavoratori anziani (la cosiddetta ‘isopensione’, per l’uscita fino a 4 anni in anticipo) o chi si è avvantaggiato di agevolazioni all’uscita attraverso i fondi bilaterali. Sono previste diverse ‘finestre’ per l’uscita anticipata: la decorrenza, una volta raggiunti i requisiti, è di tre mesi per i lavoratori privati e di sei mesi per chi lavora nella pubblica amministrazione, che dovrà anche presentare domanda sei mesi prima. Le uscite per chi abbia già raggiunto ‘quota 100’ sono quindi previste dal primo aprile nel privato e dal primo luglio nel pubblico.

La buona notizia è che per il comparto della scuola, comprese le università, le uscite pensionistiche dovrebbero scattare con l’avvio del nuovo anno scolastico o accademico, quindi dal prossimo mese di settembre: “per il personale del comparto Scola ed AFAM – si legge nell’ultima bozza del decreto – si applicano le disposizioni di cui all’articolo 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n. 449”.

A tutti i dipendenti pubblici, anche docenti e Ata della scuola, che fruiranno di quota 100, il trattamento di buonuscita verrà corrisposto al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia, norma che se approvata sarà allo studio dell’ufficio legale dell’Anief. Tuttavia è prevista la possibilità per le pubbliche amministrazioni di stipulare convenzioni con le banche, tramite accordo generale con l’Abi, per l’erogazione anticipata. Si tratterebbe di un prestito con tassi di interesse a carico del lavoratore ma con limiti prefissati dalle convenzioni.

Il decreto dovrebbe anche bloccare l’aumento di 5 mesi dei requisiti per la pensione anticipata: si potrà quindi andare indipendentemente dall’età con 43 anni e 1 mese di contributi se uomo e 42 anni e 1 mese se donna. Anche in questo caso si introducono le finestre di tre mesi, previste anche per i lavoratori precoci, che potranno continuare a loro volta ad andare in pensione con 41 anni di contributi. Di fatto il vantaggio è di due mesi.

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