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Biologico: agrumicoltura siciliana segna una crescita del 10 per cento

Catania – L’agrumicoltura biologica siciliana è cresciuta del 10 per cento in un anno. Lo dicono gli ultimi dati aggiornati, presentati nel corso dell’affollatissimo seminario “Stato dell’arte dell’agrumicoltura biologica siciliana e i fabbisogni di ricerca e sperimentazione”, ospitato ieri pomeriggio nella sede del Crea (Centro di ricerca per agrumicoltura e colture mediterranee) ad Acireale. Il seminario è il settimo degli otto previsti nell’ambito del progetto “Social Farming, agricoltura sociale per la filiera agrumicola siciliana” promosso dal Distretto Agrumi di Sicilia e Alta Scuola Arces con il contributo non condizionato di The Coca-Cola Foundation.

SUPERFICI COLTIVATE IN AUMENTO. Agrumicoltura biologica in crescita, dunque, secondo gli ultimi dati disponibili, relativi al 2015, elaborati e illustrati dal ricercatore Giovanni Dara Guccione del Crea PB di Palermo. “Rispetto all’anno precedente,la superficie coltivata ad agrumi biologici è passata da 17.411 ettari a 19.124 facendo segnare una variazione del 9,8% – spiega Dara Guccione con l’ausilio di alcune slide -. Un dato che conferma una crescita costante nel tempo, almeno sin dal 2011 quando la superficie coltivata ad agrumi biologici era di 10.778 ettari. In pochi anni, quindi, le superfici agrumicole coltivate a biologico sono in pratica raddoppiate”. Un incremento dovuto anche ai contributi pubblici.

SICILIA REGIONE PIU’ “BIO”. I numeri evidenziano che la Sicilia è indubbiamente la regione d’Italia che produce più agrumi (circa il 60% della produzione nazionale) e al contempo anche la regione italiana con maggiore estensione di superficie a coltivazione biologica di agrumi, seguita dalla Calabria con circa la metà di superfici votate all’agrumicoltura bio. Le aziende agrumicole biologiche in Sicilia sono ben 1.859, con una concentrazione più elevata nelle province di Siracusa (771), Catania (365 aziende), Messina (227) e Agrigento (140).

BIOLOGICO IN GRAN PARTE ESPORTATO. E se a fare la parte del leone fra gli agrumi bio sono le arance, seguite dai limoni, il seminario fa chiarezza anche sulla destinazione della produzione: gli agrumi biologici vengono per lo più esportati verso i mercati europei: il 70% della produzione prende la via dell’estero, il 10% è destinato alla trasformazione, il restante 20% viene commercializzato in Italia come prodotto fresco, per metà nella GDO e per metà in mercatini e gruppi di acquisto solidali, sui quali l’impatto del biologico è molto forte. Non è la stessa cosa per la produzione convenzionale che per il 20% viene trasformata, per il 5% esportata e per il 75% commercializzata come prodotto fresco prevalentemente nella GDO (80%).

DOVE MIGLIORARE. Tutto rose e fiori? Non proprio. Dara Guccione evidenzia anche i punti di debolezza del comparto, tra polverizzazione del tessuto produttivo e insufficiente aggregazione dell’offerta, forte competizione internazionale, un troppo breve calendario di commercializzazione di prodotti come mandarini e e clementine. Almeno per quanto riguarda la fase agricola. L’industria di trasformazione sconta invece un’assenza di programmazione nell’approvvigionamento delle materie prime e uno squilibrio tra produzione di semilavorati e prodotto finito, mentre sulla filiera si paga una scarsa propensione all’associazionismo, un eccessivo potere della GDO che non valorizza il biologico e anche una inefficiente comunicazione delle caratteristiche qualitative delle produzioni bio, a loro volta uno dei punti di forza su cui si dovrebbe puntare insieme con la qualità elevata delle nostre produzioni.

DOVE VA L’AGRUMICOLTURA BIOLOGICA? E’ la domanda da cui ripartire con la consapevolezza che bisogna puntare su innovazione, cooperazione e diversificazione. Insieme con la capacità di combattere con adeguate tecniche fitosanitarie gli agenti patogeni. Argomento approfondito dall’agronomo di Agrinova Bio e consigliere del Distretto Agrumi di Sicilia, Francesco Ancona: “Oggi c’è necessità di un’assistenza pubblica, che manca. Servono anche ricerca e sperimentazioni con formule partecipative da parte di tutti gli attori della filiera. E poi bollettini fitosanitari periodici della Regione anche per i produttori biologici, così come occorre sviluppare e potenziare la biofabbrica di Ramacca”. Insomma, bisogna fare di più perché “la Sicilia è la prima regione produttrice di biologico – aggiunge Ancona -. Non si tratta più di una nicchia di mercato, ma di un vero e proprio segmento. Questo seminario dimostra l’impegno del Distretto su questo fronte. Il biologico può costituire una ulteriore qualificazione delle produzioni della filiera e in particolare di quelle a marchio Dop e Igp, nelle quali negli ultimi tre anni è molto cresciuto il biologico rafforzandone la qualità e la forza di penetrazione sui mercati». Tra i relatori sono intervenuti anche Giancarlo Roccuzzo e Margherita Amenta del CREA.

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