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Economia Sicilia, Lucrezia Reichlin: “Serve un grande progetto per il capitale umano dell’isola”

“Bisognerebbe invece lanciare un progetto comprensivo — chiamiamolo «capitale umano Sicilia» — che agisca su tutti gli elementi elencati, sia quelli che hanno effetto sulla domanda, che quelli che impattano l’offerta. La dote settennale dell’ultimo ciclo di fondi europei è di 17,6 miliardi di euro. Un’occasione da non perdere. Ma, attenzione. Occorre evitare la dispersione e concentrare i fondi in pochi progetti strategici. Ci vuole un ripensamento totale del come i fondi sono distribuiti ed amministrati. Non sono la prima a dirlo, ma facciamolo. Non sarebbe questo un modo per riportare un po’ di contenuto nella discussione politica post-elettorale?”  E’ il messaggio che arriva dall’editoriale pubblicato nei giorni scorsi dal Corriere della Sera a firma dell’economista Lucrezia Reichlin (nella foto). Un editoriale che non ha avuto lo spazio che merita nel dibattito pubblico regionale: anzi, per meglio dire, è passato quasi inosservato. Eppure le parole dell’autorevole economista possono essere un buon punto di partenza per il governo regionale che si appresta a cominciare il proprio lavoro:  “La Sicilia – scrive Reichlin –  sta vivendo oggi una modesta ripresa economica. Ma tuttavia non è in grado di contrastare un trend preoccupante di perdita del capitale umano che mette a repentaglio lo sviluppo futuro della regione. Stiamo parlando della quarta regione italiana per popolazione, di un’area grande più o meno come la Finlandia. Questa domanda dovrebbe interessare quindi tutti noi”.

Una regione, la Sicilia, che va contestualizzata nell’area di riferimento, ovvero il Mezzogiorno del Paese: “Guardiamo prima a qualche dato che riguarda il Mezzogiorno in generale – si legge sul Corriere-. Dal 2002 al 2015, secondo la Svimez, sono emigrati circa un milione e settecentomila persone, più del 50% giovani, di cui circa il 20% laureati. Emigrano i residenti con una maggiore propensione al rischio, i più ambiziosi e i più qualificati. Molti di questi sono siciliani.In Sicilia questo si accompagna ad un drammatico calo degli occupati nell’industria. Dal 2000 al 2016 questi ultimi sono diminuiti del 21.5%, contro un dato italiano dell’11% e, nel periodo 2015-2016, del 3.8% contro il 0.3% nazionale. Si vede, invece, un aumento dell’occupazione nei servizi a basso contenuto di specializzazione e quindi un calo di produttività del lavoro che, nel periodo 2000-2016, è stato del ben 9.6% (quasi il doppio del dato italiano, pertanto anch’esso allarmante). Gli studi storici mostrano che le cause originarie del divario tra Sud e Nord in Italia sono soprattutto da attribuirsi alle divergenze nel capitale umano. Gli storici Federico, Nuvolari e Vasta, in uno studio recente, ricordano che nel 1871 il tasso di alfabetizzazione nella provincia di Caltanissetta era dell’8.3% contro il 57.7% a Torino. Mostrano poi che, se Caltanissetta avesse avuto lo stesso livello di alfabetizzazione di Torino, quarant’anni dopo avrebbe raggiunto un salario reale medio più di tre volte maggiore. Simili calcoli si possono fare oggi per prevedere dove sarà la Sicilia tra 20 anni rispetto al Nord d’Italia”.

Cosa serve dunque? “Ma se si volesse oggi cercare di contrastare la fuga dei talenti dal Sud, cosa bisognerebbe fare? Primo, riconoscere il problema e, appunto, la sua priorità – si legge – . Secondo, non disperdere risorse ed energie in mille progetti ma scegliere le cose importanti. Le misure di incentivazione all’impresa privata attraverso i fondi della Unione Europea, per esempio, hanno poca efficacia e, nella peggiore delle ipotesi, causano distorsioni nella allocazione delle risorse produttive con la conseguente diminuzione della produttività del capitale. Molta ricerca empirica, non solo in Italia, mostra che questo fenomeno sia quantitativamente rilevante”.

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