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Palermo, la battaglia di frà Mauro per il riscatto di Dainisinni

Un pezzo di quartiere galleggia sull’acqua del Papireto, il fiume cacciato in profondità dal cemento, ed è l’acqua che secondo frà Mauro Billetta guarirà le ferite di Danisinni, “perché è vita; tirarla su è come recuperare una grande risorsa nascosta, la stessa che c’è nelle persone di qui”. Il progetto ambizioso di questo francescano, arrivato quattro anni fa nel “fosso” di Danisinni, è far diventare “parte integrante della città il quartiere che Palermo da decenni ha rimosso”.

Sette ettari, duemila abitanti, Danisinni è a un tiro di schioppo da Palazzo d’Orleans, sede della presidenza della Regione siciliana; a due passi dal palazzo dei Normanni che ospita il parlamento dell’Isola e la celebre Cappella Palatina. Il quartiere sonnecchiava, fino all’arrivo di frà Mauro, proveniente da Gerusalemme e per questo abituato a riconoscere i confini: “Lì tutto mutava nel tratto di dieci metri, si passava dalla città araba e cristiana a quella ebraica, improvvisamente. Qui è un po’ lo stesso: le luci di piazza Indipendenza confinano con il buio di Danisinni. Quando l’Unesco delineò il percorso arabo-normanno, nessuno s’era accorto che il quartiere ne faceva parte. Siamo stati noi a portare le carte e alla fine ce l’abbiamo fatta. Ora i turisti seguono la mappa e arrivano fin qui, dove ancora non c’è un solo esercizio commerciale, un bar, una salumeria. Nulla, ma non sarà sempre così”.

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Lo scorso settembre, intanto, a Danisinni è arrivata l’opera lirica: arie di Donizetti eseguite dall’orchestra del Teatro Massimo, da cantanti professionisti e da ragazzi del quartiere. Un successo che ad aprile si ripeterà. In questi giorni è il momento del circo al teatro tenda, costruito su un’area data in comodato da privati e sulla quale il Comune, prima che frà Mauro intervenisse, voleva costruire un parcheggio. Invece è stato realizzato un bio stagno, estraendo l’acqua dal sottosuolo, e non è un caso che il logo del quartiere sia una goccia stilizzata con una faccina che sorride. Ma questo religioso, poco più che quarantenne, conosce i rischi del mestiere: “Non credo ai fuochi di paglia – dice – E’ giusto dare assaggi di bellezza, come la musica, però il cambiamento è vero se è costante e graduale. Qui abbiamo cominciato col recupero della dimensione umana, ambientale: si coltivano gli orti, si addestrano cavalli – tradizione di questo quartiere, che fornisce purosangue all’ippodromo, ora chiuso -. Adesso bisogna recuperare la scuola d’infanzia, inattiva da undici anni, insieme al consultorio. La chiusero per riparare un’infiltrazione d’acqua, e poi… Senza asilo, i ragazzi arrivano alle elementari con gravi disagi. Vengono subito emarginati, classificati come iperattivi e messi in corridoio a scontare la loro punizione quotidiana. Il passo successivo è l’abbandono del percorso d’istruzione e il ritorno a casa, dalle mamme che, se devono badare ai figli anche nelle ore scolastiche, non possono lavorare”.

A Danisinni il 90% dei residenti è disoccupato, “a salvare questa gente è la resilienza e la dignità con la quale affronta la vita. La metà degli uomini del quartiere è in carcere, qualcuno fa l’ambulante, appena fuori dai confini, vendendo verdura o pesce, finché i vigili urbani non mettono sotto sequestro la merce e la moto Ape, perché senza licenza e senza assicurazione”.

Questo è il quadro, “ma facciamo piccoli passi: cinque famiglie, attraverso Airbnb, hanno ospitato per un periodo 25 persone del Nord. Allargheremo e ripeteremo l’esperienza”, dice fra Mauro, mentre dietro la porta a vetri della sagrestia i fedeli lo aspettano per recitargli la preghiera laica delle loro sofferenze. Una donna è lì perché i servizi sociali, che monitorano le famiglie indigenti con minori, sono passati da casa e si sono accorti che lo scaldabagno è fuori uso. Ha paura che le portino via i figli.

di Francesco Terracina per Ansa.it

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