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Decreto Dignità, divieti al gaming: 150 milioni di mancate entrate per lo Stato

Il 14 luglio, un anno dopo essere stato emanato dal Consiglio dei Ministri, è entrato definitivamente in vigore il “Decreto Dignità“. Uno degli aspetti più dibattuti, nonché di maggior interesse nell‘opinione pubblica, è attinente al mondo dei giochi ed alle nuove norme ad esse collegate. Una rivoluzione, in tal senso, che coinvolgerà tutti: cittadini, stato ed operatori del settore. E i cui benefici, qualora effettivamente ci fossero, saranno valutabili sono in un arco di lungo periodo. Certamente non nel breve. Dove si assisterà ad una sola cosa: un significativo mancato introito per le già esigue e deficitarie casse dell’Erario italiano.

Decreto Dignità, quali sono i divieti per i player del gaming?

Il “Decreto Dignità“, di fatto, vieta la promozione pubblicitaria – ad eccezione delle Lotteria Italia – di giochi. Un divieto a 360°, che riguarda il mondo dell’informazione in toto, dalla carta stampata alle televisioni, passando per il web. Nello specifico, non si potranno più inserire spot legati al mondo del gaming durante film, programmi d’intrattenimento, telefilm, programmi sportivi e in tutte le fasce promozionali presenti nei mezzi d’informazione. Il divieto, oltretutto, si estende anche ai gadget (sarà vietata la distribuzione di quelli che reclamizzano aziende del settore) e alla possibilità da parte dei player del settore di patrocinare eventi e manifestazioni, oltre che vietare agli influencer di svolgere attività promozionale per le società che operano nel mondo del gaming.

Resteranno consentiti, invece, i servizi di indicizzazione del web e di equiparazione quote, che offrono la possibilità di valutare quali siano le offerte migliori e più sicure dei nuovi casino e del betting sportivo, oltre che l’esposizione delle vincite e le fiere destinate agli operatori del settore. A quest’ultimi sarà consentito effettuare campagne di sensibilizzazione, come già avviene da svariati anni, sui rischi del gioco compulsivo.

Tutte norme che, originariamente, dovevano incastrarsi in un progetto ancor più ambizioso, inerente ad una vera e propria riforma del mondo del gaming in vigore entro marzo 2019. Ad oggi, però, non si registrano ancora novità. Nonostante qualche esponente della maggioranza, lo scorso giugno, avesse dato rassicurazioni su un’immediata entrata in vigore, che slitterà ulteriormente, o forse verrà definitivamente accantonata, a causa della crisi che ha portato ad un cambio nella composizione della maggioranza governativa.

Quanto costeranno questi divieti alle casse dello stato?

I dati più interessanti, però, riguardano l’impatto economico che questa riforma, per molti “nobile” dal punto di vista etico, avrà sulle tasche dello Stato Italiano, già alla prese, di per sé, con una situazione contabile e finanziaria tutt’altro che florida. In base ai primi riscontri, infatti, l’impossibilità di reclamizzare i propri servizi per le aziende del settore, provocherà nel mondo del gaming minore entrate attorno al 5%, anche se non sono pochi ad ipotizzare che la percentuale, specie nei prossimi anni, sarà decisamente più elevata.

Questi mancati introiti, poi, impatteranno negativamente sulle casse dell’Erario. Il Ministero dell’Economia e della Finanza, infatti, ha ipotizzato un minor flusso di cassa annuo pari a 150 milioni. Una stima che alcuni esperti definiscono “assai prudente”, che potrebbe essere decisamente superiore soprattutto nel lungo periodo. Resta anche il dubbio, poi, che questo mancate entrate, 350 milioni in tre anni e mezzo, possano essere recuperate tassando beni di prima necessità per i clienti, oppure, come da prassi ormai consolidata nel nostro paese, aumentando le cosiddette “imposte indirette“.

Un mondo che, inevitabilmente, risentirà dell’entrata in vigore di queste norme, è quello del calcio. Il mondo dei giochi online, più nello specifico quello del betting sportivo, garantiva sponsorizzazioni per oltre 200 milioni, costituendo uno dei settori più importanti alla voce “partner commerciali”. Soldi, per quanto ovvio, che percepivano in misura maggiore i grandi clubs, ma che spesso costituivano un valido aiuto anche per le squadre medio-piccole. E la cui assenza potrebbe rendere meno competitiva la nostra Serie A.

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